Per capire in che modo il coronavirus continua a evolversi in varianti sorprendenti con nuove mutazioni è utile fornire un po’ di contesto: il genoma del virus sars-cov-2 è lungo trentamila lettere, e questo significa che il numero di possibili combinazioni di mutazioni è inimmaginabile. Come mi ha spiegato Jesse Bloom, virologo del Fred Hutchinson cancer research center, questo numero supera di gran lunga quello degli atomi presenti nell’universo conosciuto.
Gli scienziati cercano di rappresentare le possibili evoluzioni del virus in un “paesaggio adattativo”, uno spazio iperdimensionale composto di picchi e di valli. Più sono alti i picchi che il virus scopre e più diventa “adatto” ovvero efficace nell’infettare le persone. Più il virus si replica, incrementando il numero di mutazioni, e più aumenta la probabilità che trovi nuovi picchi. Per prevedere come potrebbe evolversi il virus dovremmo conoscere la topografia dell’intero paesaggio adattativo. Come potete immaginare, non siamo in grado di farlo, e non ci andiamo nemmeno lontanamente vicini. “Non sappiamo quali picchi esistano. Per esempio non sapevamo che il picco omicron esistesse”, spiega Sarah Otto, biologa evolutiva dell’università della British Columbia. “Quindi non siamo in grado di ipotizzare cos’altro potrebbe accadere”.
Ciò che possiamo dire con certezza è che la maggioranza delle mutazioni renderà il virus meno “adatto” (le valli) o non avrà alcun effetto (le dorsali), ma un numero ridotto darà luogo ai picchi. Non sappiamo però quanto saranno alti o frequenti questi picchi. Quando la variante delta ha cominciato a diffondersi sembrava che avrebbe spazzato via le altre. “Ero sicura che la variante successiva sarebbe nata dalla delta”, d Katie Koelle, biologa della Emory university. E invece è emersa la omicron, su un picco distante, in una direzione che nessuno aveva considerato.
Nuovi picchi
La prossima variante potrebbe essere altrettanto sorprendente. Potrebbe essere più aggressiva, o più contagiosa. Di sicuro si affiderà a nuovi metodi per sfuggire agli anticorpi che abbiamo sviluppato. Il virus continuerà inevitabilmente a trovare nuovi picchi.
A complicare ulteriormente il tentativo di prevedere l’evoluzione del virus c’è il fatto che il paesaggio adattativo viene continuamente rimodellato in funzione del nostro mix di immunità che cambia con l’avvicendarsi delle vaccinazioni e dei contagi con le nuove varianti. Questo processo altera ciò che per il virus significa essere “adatto”. Alcune montagne crolleranno, mentre alcune colline si innalzeranno. In ogni caso è difficile che il virus muti così tanto da ridurre a zero la nostra immunità contro le forme più gravi.
Mano a mano che sempre più persone acquisiscono una certa immunità attraverso i vaccini o il contagio, le manifestazioni più gravi della malattia tendono a diminuire. La probabilità che le varianti future continuino a provocare un alto numero di contagi dipende da quanto la nostra immunità sarà confermata dopo numerose esposizioni al virus. Diversamente da altri patogeni che hanno attraversato il paesaggio adattativo negli umani per un lungo arco di tempo, il sars-cov-2 ha appena cominciato.
Più cresce il numero di persone da infettare e maggiore è la porzione del panorama adattativo che il virus può esplorare
Le varianti del coronavirus continuano a sorprenderci perché i suoi balzi evolutivi non si erano mai visti in precedenza. La omicron presenta più di 50 mutazioni, di cui 30 solo nella proteina spike. Sui quattro coronavirus stagionali che provocano un semplice raffreddore, due accumulano appena 0,3 oppure 0,5 mutazioni adattative all’anno nella proteina spike, il terzo non sembra variare affatto mentre il quarto è un mistero, perché non abbiamo a disposizione dati a lungo termine sufficienti. L’influenza è capace di fare grandi salti attraverso un processo chiamato ricombinazione che può provocare pandemie (come dimostra il caso della H1N1 nel 2009), ma in generale quella stagionale presenta una o due mutazioni all’anno nella proteina fondamentale, spiega Koelle.
Tre spiegazioni
Il fatto che l’evoluzione del sars-cov-2 sia così diversa da quella degli altri virus ha tre possibili spiegazioni, che non si escludono a vicenda. Prima di tutto bisogna considerare che non abbiamo esaminato gli altri virus respiratori con la stessa attenzione. Al momento sono stati sequenziati più di 7,5 milioni di genomi del sars-cov-2, ma solo poche centinaia (o addirittura decine) per ognuno dei quattro coronavirus stagionali. Quando gli scienziati cercano di ricostruire il rapporto tra questi virus sequenziati in alberi filogenetici, “gli alberi sono molto radi”, ammette Sarah Cobey, biologa dell’università di Chicago.
Ci sono altri tipi di virus che causano il comune raffreddore: rhinovirus, adenovirus, metapneumovirus, eccetera. Anche questi virus sono scarsamente sequenziati. I tipi di rhinovirus che colpiscono l’essere umano sono più di cento, ma non abbiamo una conoscenza approfondita di come questa diversità sia emersa nel corso degli anni.
La seconda spiegazione è che il sars-cov-2 potrebbe essere un’anomalia, intrinsecamente migliore rispetto agli altri virus nell’esplorazione del suo paesaggio adattativo. “È un virus a rna, e questo aiuta (i virus a rna acquisiscono le mutazioni più rapidamente di quelli a dna), così come il fatto che si trasmetta quasi subito”, spiega Cobey. In media il morbillo ha bisogno di 11-12 giorni tra il momento in cui infetta un individuo e quello in cui l’individuo diventa contagioso, mentre al sars-cov-2 bastano tra 1,5 e 3 giorni. Più cresce il numero di persone da infettare e maggiore è la porzione del panorama adattativo che il virus può esplorare.
Infine bisogna tenere presente che il sars-cov-2 è un nuovo patogeno. Qualsiasi fosse la sua trasmissibilità intrinseca, il contagio non ha incontrato alcuna immunità pregressa nel momento in cui ha colpito la popolazione umana. È per questo che il sars-cov-2 è stato capace d’infettare gran parte del mondo in due anni, colpendo un numero di persone di gran lunga maggiore rispetto ai vecchi virus. Ogni volta che il virus infetta un individuo si replica miliardi di volte.
Il sars-cov-2 può percorrere un’infinità di tragitti verso la maggiore trasmissibilità intrinseca o verso l’aggiramento dell’immunità
Alcune delle copie create in ogni contagio portano con loro mutazioni casuali, e alcune di esse si rivelano vantaggiose per il virus. Ma queste mutazioni possono avere difficoltà a diventare dominanti nel breve corso di una tipica infezione da covid-19. “Serve un po’ di tempo prima che una mutazione passi dallo zero al 5-10 per cento” della carica virale in una persona infetta, spiega Adam Lauring, virologo dell’università del Michigan. Quella persona a sua volta trasmette solo una piccola parte delle particelle virali a un altro individuo, dunque gran parte della mutazione si perde.
Lignaggi virali
Nel corso di milioni di contagi alcune di queste mutazioni si trasmettono e crescono gradualmente fino a creare un nuovo lignaggio virale. La variante delta sembra essersi evoluta in questo modo. Allo stesso tempo, l’ubiquità del sars-cov-2 potrebbe aver seminato un insolito numero di infezioni croniche contemporaneamente, che secondo gli esperti sono un altro elemento molto favorevole all’evoluzione del virus. In un’infezione cronica, nel corso di settimane e mesi, queste mutazioni vantaggiose hanno il tempo di diventare dominanti e ritrasmettersi. Questo è il modo in cui potrebbe essere nata la variante alfa.
Le origini della omicron sono ancora sconosciute. La variante potrebbe essersi evoluta in modo frammentario come la delta, ma alcuni esperti ritengono che in questo caso i suoi antenati sarebbero stati identificati durante il sequenziamento.
Esistono altre due possibilità: un’infezione cronica in un soggetto immunodepresso o il passaggio da una riserva animale all’essere umano. In entrambi i casi le pressioni selettive all’interno di un paziente immunodepresso o in una popolazione animale sono leggermente diverse da quelle a cui è esposto un virus che si trasmette tra umani. Forse questo è ciò che ha permesso al virus di superare un lungo intervallo adattativo e trovare un nuovo picco nella omicron. Comprendere le forze evolutive che hanno creato la variante omicron può aiutarci a capire quello che potrebbe accadere in futuro, anche se non potremo mai prevedere quale sarà l’aspetto della prossima variante.
Per aggirare il sistema immunitario il virus ha alterato una delle sue funzioni più basilari
“Con la omicron penso che siamo stati fortunati”, dice Sergei Pond, biologo evolutivo della Temple university. Per coincidenza, infatti, l’insieme di mutazioni che rendono la variante così efficace nell’infettare anche le persone vaccinate, la rendono anche intrinsecamente meno aggressiva. Non c’è motivo di pensare che in futuro andrà sempre così. L’aggressività del virus è un sottoprodotto di altri due fattori che subiscono una pressione evolutiva più diretta: il livello di contagiosità intrinseco e l’efficacia nell’aggirare un’immunità pregressa. La mortalità non ha grande importanza nell’ottica del virus, perché il sars-cov-2 si trasmette solitamente nella fase iniziale dell’infezione, ben prima di uccidere l’ospite.
Insolite mutazioni
Nell’immenso paesaggio adattativo il sars-cov-2 può percorrere un’infinità di tragitti verso la maggiore trasmissibilità intrinseca o verso l’aggiramento dell’immunità. Prendiamo l’esempio della trasmissibilità. Un virus può replicarsi molto rapidamente, in modo che il soggetto infetto ne espelle grandi quantità parlando, mangiando, espirando. La variante delta sembra comportarsi in questo modo, ed era più aggressiva. In alternativa il virus può cambiare replicandosi soprattutto nella gola e nel naso, dove può essere più facilmente trasmissibile, anziché nei polmoni. La omicron sembra seguire questo percorso, ed è meno aggressiva. La prossima variante potrebbe seguire uno dei due percorsi o potrebbe aprirne uno nuovo. Una versione della omicron chiamata BA.2 è in competizione con la prima, la BA.1, nel Regno Unito e in Danimarca, anche se per il momento non è chiaro quale vantaggio potrebbe avere.
La omicron non presenta solo un elevato numero di mutazioni, ma ne comprende alcune molto insolite. Tredici mutazioni sono ammassate in siti dove in precedenza gli scienziati non avevano rilevato molti cambiamenti. Questo lascia pensare che le mutazioni in quell’area solitamente rendano il virus meno adatto e siano abbandonate. Tuttavia, secondo una ricerca in attesa di revisione paritaria del gruppo di Pond, queste tredici mutazioni maladattive potrebbero diventare adattive se si presentano contemporaneamente.
Pond mi ha invitato a immaginare un virus che cerca di sfuggire agli anticorpi esistenti. Il virus acquisisce una serie di mutazioni che lo rendono meno identificabile per gli anticorpi, ma anche meno adatto a infiltrarsi nelle cellule. Nell’ambiente di selezione leggermente diverso all’interno di un paziente immunodepresso o di una riserva animale, il virus può essere comunque in grado di sopravvivere, fino a quando trova la giusta combinazione di mutazioni per compensare i cambiamenti precedenti.
Nella omicron questo processo ha rimodellato elementi chiave della proteina spike, che è diventata meno riconoscibile per gli anticorpi esistenti e al contempo ha trovato una nuova strategia per penetrare nelle cellule. Il coronavirus solitamente usa due metodi per penetrare nelle cellule: si fonde direttamente con le cellule o si infiltra attraverso una bolla. La omicron si è specializzata nel secondo metodo, che sembra funzionare meglio nelle cellule di naso e gola e peggio in quelle dei polmoni. Questo potrebbe spiegare la minore aggressività della variante. Per aggirare il sistema immunitario il virus ha alterato una delle sue funzioni più basilari.
È possibile che altre mutazioni interagiscano in modi sconosciuti cambiando funzioni cruciali del virus? Quasi sicuramente è così, ma al momento non sappiamo quali siano. Per scoprirlo dovermo attendere e osservare il sars-cov-2 nei prossimi anni e decenni. “Se osserviamo la comune influenza e i coronavirus stagionali notiamo che si sono evoluti negli esseri umani per molto tempo, e non hanno mai smesso di evolversi”, spiega Bloom.
Esistono limiti rispetto a quanto un virus possa diventare intrinsecamente trasmissibile. Il morbillo, il virus più contagioso tra quelli conosciuti, ha un potenziale di trasmissibilità (R0) di 12-18, mentre quello della variante delta è di 5. L’R0 della omicron non è ancora conosciuto, perché gran parte dei vantaggi rispetto alla delta sembrano derivare dalla capacità di aggirare gli anticorpi esistenti più che da una maggiore trasmissibilità intrinseca. Mentre il virus trova sempre meno persone non immuni da infettare, sfuggire all’immunità diventa un fattore più importante nella sua evoluzione. In questo contesto il virus seguirà sempre nuove strategie, perché la soluzione ottimale muta continuamente.
Quest’ultima ondata, per esempio, sta generando una grande immunità rispetto alla omicron nella popolazione, e questo ha già reso la omicron meno adatta rispetto a quando si è affermata. “Molto probabilmente la prossima variante sarà antigenicamente molto diversa dalla omicron”, spiega Aris Katzourakis, virologo dell’università di Oxford. Ma quale sarà l’aspetto della nuova variante? Forse ora ne sappiamo abbastanza per essere consapevoli del fatto che è impossibile prevederlo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.
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