Un’alternativa al turismo di massa
Un anno fa sui muri di Barcellona si vedevano scritte come: “Turisti, tornate a casa vostra”. Adesso che i turisti non ci sono più, la città – così come tutte le persone che vivono di turismo - teme il crollo dell’economia e ha elaborato in fretta un piano per attrarne degli altri, senza far arrabbiare gli abitanti. Secondo le associazioni di settore circa il 15 per cento delle attività commerciali e un ristorante su quattro nel centro di Barcellona saranno costretti a chiudere per sempre a causa del nuovo coronavirus. L’economia locale è in grande difficoltà, dopo che a metà luglio il nuovo aumento dei casi in Catalogna ha costretto le autorità a fare nuovi appelli al distanziamento sociale e ha spinto diversi paesi, a partire dal Regno Unito, a imporre delle limitazioni sugli spostamenti. Le stime sono altrettanto negative anche per altre mete turistiche nel paese, con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio.
Ma c’è un altro lato della medaglia. Secondo i sindaci delle città più visitate d’Europa, così come secondo intellettuali e personalità di spicco, il collasso del settore dei viaggi può offrire ai luoghi più toccati dal turismo di massa un’opportunità di creare un nuovo modello economico.
Barbora Hrubá, dell’agenzia per il turismo di Praga, dichiara che la capitale ceca desidera “un nuovo tipo di visitatore”. Xavier Marcé, l’assessore al turismo di Barcellona, ha dichiarato: “Non voglio altri turisti, voglio visitatori”. “La nostra città attraversa una profonda crisi e stiamo cercando di fare qualcosa di diverso” sostiene Paola Mar, assessora al turismo di Venezia. “Vogliamo un indotto sostenibile e che non danneggi la vivibilità della città”, sostiene Heleen Jansen, responsabile della comunicazione della Amsterdam&Partners, un’organizzazione non profit che ha sede nella città olandese.
Airbnb, grandi navi e alternative
Ma un conto sono le buone intenzioni e un altro le proposte concrete. Secondo Janet Sanz, vicesindaco di Barcellona, le città che finora hanno basato il proprio sviluppo solo sul turismo adesso si trovano a pagarne il prezzo e devono diversificare l’offerta. Più facile a dirsi che a farsi, visti i numeri. Barcellona, che ha una popolazione di un milione e 600mila abitanti, nel 2019 ha ospitato 30 milioni di visitatori. Venezia ha 27mila abitanti e ne ha accolti 25 milioni; Amsterdam, con i suoi 873mila abitanti, 19 milioni.
A Venezia il turismo di massa negli ultimi anni è stato visto come una minaccia per la sopravvivenza della città, ma oggi ci si chiede come si possa tirare avanti e superare questo periodo con molti meno visitatori. Anche se i viaggiatori, da quando è finito il lockdown, cominciano a tornare alla spicciolata, la maggior parte di loro arriva in auto da Austria, Germania, Francia e Belgio: molti alberghi restano chiusi e quelli aperti sono pieni al trenta per cento. “Questo periodo invita alla riflessione”, ha dichiarato Paola Mar. E mentre ancora si discute su quali misure applicare per gestire al meglio i flussi in futuro, alcuni cambiamenti già sono in corso, come spiega l’assessora: “Diversi proprietari di casa che prima affittavano ai vacanzieri hanno accettato di affittare d’ora in poi solo a studenti universitari. Questo è un ottimo inizio”.
Altre città, tra cui Amsterdam, Barcellona e Lisbona, stanno seguendo varie strade per contrastare il fenomeno di Airbnb, che ha fatto salire il prezzo degli affitti e ha portato molto spesso i residenti a trasferirsi altrove. Jaime Palmera, portavoce dell’Unione dei locatari di Barcellona, chiede la revoca delle migliaia di licenze rilasciate a tempo indeterminato per l’affitto degli appartamenti ai turisti. Questo significherebbe annullare una legge approvata nel 2011 dal governo catalano.
Così come a Barcellona, anche a Venezia la gran parte delle antipatie è rivolta verso le enormi navi da crociera, ma nessuna delle due città ha giurisdizione sul proprio porto, che resta sotto il controllo del governo centrale. “Ora non dobbiamo più vivere con il terrore di un incidente causato da questi mostri, ma non possiamo dimenticare i lavoratori portuali che sono disoccupati” ha dichiarato Matteo Secchi, capo del gruppo di attivisti Venessia. “Siamo contrari alle grandi navi e abbiamo sempre sostenuto che sia necessario trovare una soluzione, ma bisogna anche proteggere i lavoratori”.
Gli impieghi a rischio sono decine di migliaia. Per le città il grande dilemma è come reinventare il turismo senza far perdere il posto di lavoro a tante persone. “Molte persone pensano che la città sia meravigliosa così com’è, senza turisti”, ha dichiarato Marcé, “ma potrebbero essere costretti a rivedere le proprie idee quando a settembre lo stato smetterà di pagare l’80 per cento del loro stipendio e il tasso di disoccupazione salirà al 18 per cento”. Secondo Marcé il punto è non tanto il numero, quanto la distribuzione dei visitatori. Per questo vuole incoraggiarli a vedere altre parti della città, non solo i luoghi tradizionali. Quest’ottica è condivisa anche da Amsterdam, che per questo ha stilato un piano in sei punti. Ma non è facile convincere chi viene da fuori a evitare le piazze e i monumenti più famosi.
Un turismo migliore
“Non è sostenibile gestire trenta milioni di visitatori come abbiamo fatto finora”, dichiara Marcé. “Lo stesso numero di persone guidate da diversi interessi e che vanno a visitare zone differenti invece potrebbe non essere un problema così grande”. Octavi Bono, responsabile del turismo per il governo catalano, è d’accordo con Marcé: “Noi non vogliamo più o meno turisti, vogliamo un turismo migliore con una diversa distribuzione nelle stagioni e nei luoghi. Stiamo mettendo a punto un piano concordato”.
Ma concordato con chi, chiede Pere Mariné, portavoce della Federazione dei cittadini residenti a Barcellona? “Octavi Bono dice queste cose pensando ai commercianti, non ai cittadini comuni”, commenta Mariné. “Per quanto riguarda l’idea di decentralizzazione esposta da Marcé non sono contrario, ma richiede una diversa maniera di promuovere la città, mentre i piani recentemente approvati dall’amministrazione sono basati sulla solita cosa: il turismo di massa”.
Secondo Marcé il problema di Barcellona è il fatto che le spiagge della costa sono piene di persone che vogliono passare solo una giornata in città, un fenomeno che differenzia il suo caso da quello di Parigi, Berlino o Amsterdam. Mettere un limite ai posti letto disponibili a Barcellona non influisce sul numero dei vacanzieri mordi e fuggi, sostiene l’assessore al turismo.
Geerte Uso, direttore della Amsterdam&Partners, sostiene che la sua organizzazione “sta lavorando ad una campagna incentrata sulla riscoperta dell’offerta culturale del vecchio centro storico e di altri quartieri, ma anche sulla valorizzazione delle imprese locali e degli spazi pubblici. In questo modo si rinnoverebbe il legame dei cittadini con l’ambiente circostante. Lo scopo dell’iniziativa è sedurre gli abitanti di Amsterdam e portarli a riscoprire la loro città”.
In un momento in cui molti cittadini si stanno riversando festosamente nelle strade, piazze e spiagge libere dai turisti suona strano che sia Amsterdam sia Barcellona gli chiedano di riscoprire la città. Sembra che siano stati loro ad abbandonare la città, mentre loro sono convinti di essere stati buttati fuori.
Nel frattempo nulla fa pensare a una ripresa dell’industria dei viaggi per il 2020, quindi per ora la questione resta senza risposta. “Il mercato dei viaggi low cost sta per affrontare un grande cambiamento, sia per quanto riguarda gli effetti sulle compagnie aeree sia sull’approccio delle persone al viaggio”, ha dichiarato l’assessore al turismo Marcé, aggiungendo che di recente solo quattro milioni visitatori sono arrivati in città con le compagnie low cost.
Anche secondo Mar l’industria turistica cambierà in seguito alla pandemia: “Sarà completamente diverso. Pochi continueranno a viaggiare come prima e quelli che continueranno forse lo faranno in un modo più rilassante. Magari visiteranno meno posti, ma si godranno di più l’esperienza”.
(Traduzione di Maria Chiara Benini)
Leggi anche
Questo articolo è stato pubblicato sul giornale britannico The Guardian.