Boris Johnson, occhi gonfi e spalle curve, ha rivolto lo stesso tipo di scuse a molte persone, molte volte. Nel maggio del 2020, mentre il Regno Unito era sottoposto a un rigido lockdown, i funzionari di Downing street avevano organizzato una festa nel giardino recintato del primo ministro. Johnson aveva partecipato per 25 minuti. Lo ha ammesso alla camera dei comuni il 12 gennaio. E ha detto di capire la rabbia dei britannici per l’accaduto, dopo una primavera così difficile.
Il premier ha anche esposto la sua difesa, che sarà centrale nell’inchiesta affidata alla funzionaria Sue Gray: è stato un partecipante involontario, dal momento che il giardino è stato usato come ufficio, e lui pensava “implicitamente” che fosse un evento di lavoro. Fa una brutta impressione, ma “si può dire che tecnicamente rientra nei codici di comportamento”. Keir Starmer, il leader dei laburisti, lo ha definito ridicolo e ha chiesto le sue dimissioni.
Quasi certamente Johnson non si dimetterà. L’umore dei deputati conservatori è cupo e i donatori che hanno finanziato la sua campagna elettorale sono furiosi. “Mi sento un po’ disgustato”, dice un finanziatore che sta valutando di chiudere i rubinetti. Alcune figure di alto livello, tra cui Douglas Ross, leader dei conservatori scozzesi, e William Wragg, presidente di una commissione d’inchiesta, hanno chiesto le sue dimissioni. Ma è improbabile che il suo partito lo costringa a dimettersi a breve. Per questo servirebbe che 54 deputati firmassero una lettera di sfiducia e poi che 180, la metà dei conservatori in parlamento, votassero a favore della sua espulsione.
Indebolito e impopolare
La reputazione dei conservatori come spietati regicidi è immeritata dai tempi di Margaret Thatcher. Da allora il partito tollera molto bene le prestazioni di basso livello: la sfortunata Theresa May è stata allontanata solo nel 2019, due anni dopo aver perso la maggioranza del partito. Alcuni parlamentari di secondo piano sono felici di avere un primo ministro azzoppato, poiché questo lo rende più docile sulla Brexit e sulle politiche legate al covid-19.
Per la maggior parte della sua carriera, l’attrattiva politica di Johnson è stata di violare le regole. Come sindaco di Londra rompeva le piccole regole della politica, che proibiscono le bugie e le relazioni extraconiugali. Gli elettori che erano stanchi delle sottigliezze lo apprezzavano, come i bambini amano le pagliacciate.
Come primo ministro aveva promesso d’infrangere le grandi regole al cui interno si muove la realtà politica. Un “governo del popolo” avrebbe offerto qualunque cosa stuzzicasse l’appetito della gente, in particolare cose considerate fuori luogo perché antieconomiche o impraticabili. Il Regno Unito avrebbe potuto lasciare l’Unione europea, ridurre radicalmente l’immigrazione ed elargire fondi per i progetti che più gli stavano a cuore, dai ponti agli yacht reali, senza che la tesoreria dello stato potesse dire niente. Se il parlamento avesse fatto ostruzionismo, avrebbe potuto essere sospeso. La sua sarebbe stata un’amministrazione gaudente, e lui un allegro Carlo II, all’opposto del triste Oliver Cromwell rappresentato da May.
Ma dopo settimane di rivelazioni su feste durante il lockdown e donazioni irregolari, il mancato rispetto delle piccole regole ha perso il suo fascino. Johnson è ormai gravemente indebolito all’interno del suo stesso partito e impopolare. Secondo la società di sondaggi Ipsos mori, il suo indice di approvazione netto è crollato a meno 36 per cento, vicino a quello del leader laburista Jeremy Corbyn poco prima della sconfitta elettorale nel 2019. Keir Starmer, un ex pubblico ministero, farà dell’onestà nella funzione pubblica uno dei pilastri della sua campagna per diventare premier.
Il problema dell’inflazione
Nel frattempo le grandi regole della politica hanno ripreso a farsi sentire. Il governo ha di fronte a sé una primavera estenuante, e si prepara alle elezioni locali mentre i redditi delle famiglie vengono spremuti e i servizi pubblici sono messi a dura prova. La campagna sarà condotta da un primo ministro indebolito, che non sarà in grado di sventolare risposte facili e soluzioni già pronte, com’era suo stile.
Prima delle feste, era l’inflazione a provocare l’insonnia ai deputati conservatori. A novembre i prezzi al consumo sono aumentati del 5,1 per cento rispetto a un anno prima: il più grande aumento annuale dal settembre 2011. Nei prossimi mesi gli aumenti dovrebbero battere ogni record dall’inizio degli anni novanta. È improbabile che gli stipendi tengano il passo con i prezzi di auto, vestiti e sigarette. A essere messi a dura prova saranno soprattutto i pensionati, una grossa fetta della coalizione elettorale dei conservatori, e le persone che beneficiano dei sussidi statali.
Gran parte del problema è causato dagli elevati prezzi globali di petrolio e gas, aggravati da un quadro normativo britannico concepito male. Ad aprile il governo alzerà il tetto dei prezzi dell’energia al dettaglio. La bolletta annuale di una famiglia media dovrebbe aumentare del 50 per cento. Il Partito laburista si sta facendo forte delle difficoltà dei conservatori, proponendo un taglio temporaneo dell’iva sulle bollette dell’energia.
Il destino di Johnson si deciderà nei supermercati, nei distributori di benzina e nelle sale d’aspetto dei medici
È un’abile manovra politica, progettata per irritare i sostenitori dei tory. La misura era stata promessa dai responsabili della campagna di Johnson a favore della Brexit come potenziale ricompensa per l’uscita dall’Ue, ma non è stata attuata. Tuttavia, fa notare Robert Joyce dell’Istituto per gli studi fiscali, il problema è così serio che anche se fosse attuata compenserebbe meno di un quinto dell’aumento medio delle bollette dell’energia. Una situazione che ricorda i primi anni del duemila, quando il laburista Ed Miliband sfruttò con successo quella che definì una “crisi del costo della vita” per indebolire il governo del conservatore David Cameron.
Ad aprile è previsto anche un aumento del 2,5 per cento dell’assicurazione nazionale, una tassa sui contributi divisa equamente tra dipendenti e datori di lavoro. Gli esponenti di spicco del Partito conservatore sono scontenti, tra loro anche Jacob Rees-Mogg, leader della camera dei comuni. Il denaro extra dovrebbe sostenere il servizio sanitario nazionale (Nhs) per tre anni, prima di essere destinato al finanziamento di un nuovo regime d’assistenza sociale.
Ma l’Nhs attraversa una crisi dovuta all’interruzione delle attività di routine dei medici durante la pandemia. L’aumento dell’assicurazione nazionale non cambierà quasi niente. Circa sei milioni di persone sono già in lista d’attesa per un trattamento ospedaliero ed entro il 2024, quando ci saranno le prossime elezioni generali, potrebbero essere 13 milioni, cioè un cittadino su cinque. Tutti conosceranno una persona che è in lista d’attesa. I laburisti potranno scegliere tra molte storie strazianti per le loro campagne elettorali. Dopo le sue scuse alla camera dei comuni, la prima domanda rivolta a Johnson è stata quella del conservatore James Davies, che ha denunciato che nel suo collegio per un controllo al seno c’è un’attesa di otto settimane.
Il destino di Boris Johnson non si deciderà nel giardino del numero 10 di Downing street, ma nei supermercati, nei distributori di benzina e nelle sale d’aspetto dei medici. L’ultima settimana è stata la più avvilente della sua carriera. L’anno prossimo sarà peggio.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sull’Economist.
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