Hélène Grimaud è famosa. Non credo sia sbagliato dire che lo è tanto come pianista quanto per il suo impegno per la salvaguardia dei lupi e per il fatto che è molto bella. Anzi, in realtà credo che sia sbagliato: probabilmente la classifica dei fattori veicolo di fama vede un testa a testa tra la bellezza e i lupi, e terzo, abbastanza staccato, il suo pianoforte.
Tant’è che io in foto la riconosco, della vicenda-lupi sono informato, ma un concerto suo non l’avevo mai sentito. Ora sì: sono andato al suo recital di Santa Cecilia venerdì scorso. Il programma era interessante: k 310 di Mozart, la sonata di Berg, la sonata di Liszt e le sei danze romene di Bartók.
Ho sentito una personalità forte, un Mozart molto drammatico e convincente, un Berg che tutte le volte che mi capita in sala mi entusiasma (mentre se lo sento in disco mi perdo), un Liszt pieno di sorprese, buone e meno buone (per me buone sono state quelle delle parti più a rischio di eccesso di show muscolare), ma anche solo per questo in grado di tenermi bene attento e partecipe, e uno swinging Bartók che se capitasse più spesso farebbe bene a tutti.
Tutto sommato è stato un concerto che mi ha tenuto sempre con sé, anche se ero di umore assai distratto.
La signora era sobriamente elegante (direi che almeno la giacca era questa. Anche il bis chopiniano, primo dei Trois nouvelles études, che molti conoscono ma nessuno identifica tranne il sempre necessario Burdlazz da Parma).
Gianni Clerici, maestro di tennis e di penna, quando parla di racchette femminili trova sempre qualcosa da dire sulla mise e i suoni delle atlete, dalle mutandine di Chris Evert agli urlacci della Sharapova. Io non sono all’altezza, e forse quando si parla di artisti non si può proprio fare. Peccato: dal mio splendido posto della sala Sinopoli (fila 4, posto 5) vedevo tutto, sentivo tutto e pensavo che ne sarebbe valsa la pena.
Alberto Notarbartolo è un giornalista di Internazionale molto appassionato di musica e dischi.
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