Edimburgo ad agosto è un’incontenibile marea di festival, mostre, spettacoli, musicisti da strada e – soprattutto? – volantini. Io per un Ferragosto snob sono andato alla meravigliosa Usher Hall a sentire Tristano e Isotta in forma di concerto. Occasionissima: un’opera di Richard Wagner, rarità nella mia vita di ascoltatore, e metapastrocchio politico con amore, sangue e trasfigurazioni tra Irlanda e Cornovaglia portati in Scozia da un’orchestra del Galles.

Forse per il vecchio Richard, che per raggiungere la perfezione del Wort-Ton-Drama che aveva in mente si era costruito un teatro apposta, il suo lavoro cantato da dei signori in borghese impalati davanti all’orchestra sarebbe un sacrilegio. Non avrebbe tutti i torti, ma è comunque tanto meglio dello stereo di casa.

Di sicuro l’esecuzione in forma di concerto rende l’impatto delle voci completamente diverso rispetto a quella in un teatro lirico e, soprattutto in opere come questa, ribalta la percezione dei cantanti. Non so cosa succeda a Bayreuth ma di sicuro alla Scala, il paio di volte che osai mettere Wagner nella mia dieta di giovane spettatore (tipo un Parsifal con Domingo), le voci dei solisti arrivavano immerse nell’orchestra, quando non sommerse. Qui svettavano tutti, maschi e femmine, come dei Manrichi di Senso con il loro spadone sulla testa del pubblico. Equilibrio falsato, **figurona per i solisti **moltiplicata.

Ed è qui che è arrivata l’unica parziale delusione della serata, il Tristano di Ben Heppner. Gli anni sono passati anche per lui (e il tanto Wagner della sua lunga e illustre carriera immagino li faccia passare più in fretta): più la sua parte saliva e più era come se qualcuno gli abbassasse il volume. Ne usciva bene nei momenti più lirici e, nel terzo atto, quando il nostro eroe è più morto che vivo. Appena s’arrabbiava o si godeva gli effetti dell’elisir, spariva. Resta un interprete vario e pieno di momenti emozionanti, ma temo che in teatro sarebbe davvero in difficoltà.

Se Tristano aveva l’aria vecchietta, Isotta era un portento di gioventù, forza e bellezza. Jennifer Wilson non è una megastar, ma mi ha fatto un’impressione quasi violenta per impatto fisico, prima ancora di farmi sentire quanta varietà di colori si può mettere in questa vocalità tanto estrema e diversa da quella che ascolto di solito.

Non mi metto neanche a parlare del resto del cast (ero in seratona: mi son piaciuti tanto tutti), se non per segnalare che re Marke non era quello indicato dal sito del festival, ma Jan-Hendrik Rootering. Orchestra e coro della Welsh National Opera diretti dal loro Lothar Koenigs con affettuosa efficienza.

Mi è rimasta la voglia di sentire tutta l’opera da capo. Pescherò tra le mie due edizioni in disco. Una è quella di Karl Böhm da Bayreuth 66, che avevo preso moolti anni fa per dovere educativo. L’altra mi è entrata in casa da poco, courtesy della boxmania che travolge le major del disco: Carlos Kleiber. Sono evidentemente raccomandatissime anche senza bisogno che lo dica io, che di questo spicchione di storia della musica so veramente molto, molto poco.

Lo scatolo di Kleiber prendetelo subito, dai, anche se non volete Wagner.

Alberto Notarbartolo è un giornalista di Internazionale molto appassionato di musica e dischi.

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