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Nella grande generazione di pianisti made in the Usa del dopoguerra ce n’era uno che, almeno a giudicare dai dischi, era una spanna sopra gli altri: William Kapell. Aveva 31 anni quando l’aereo sul quale tornava da una lunga tournée in Australia si schiantò vicino a San Francisco, uccidendolo.

Nel 1998 la Rca aveva pubblicato un lussuoso (e costosissimo) cofanetto di nove cd con tutte le sue registrazioni. Lo trovai usato a New York qualche anno dopo e lo acchiappai subito.

Ogni tanto mi capita di metterne su un disco con l’idea di fare qualcos’altro mentre lui suona, e regolarmente dopo due minuti smetto di fare il qualcos’altro e mi inchiodo sul divano con la bocca aperta.

Smetto perché dentro il mio stereo c’è il pianista più esplosivamente forte, vivo e brillante tra tutti i “pianisti americani” dalle caratteristiche post-horowitziane del luogo comune dell’epoca (il terzo concerto di Prokof’ev! la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov!), e insieme c’è una profondità di campo e un’infinita, caleidoscopica ricchezza di fraseggio e di suono (la terza sonata di Chopin! il Sonetto 104 del Petrarca di Liszt!).

Il suono è spesso un po’ lo-fi, ma è uno di quei casi nei quali, semplicemente, non ci fate caso, mai.

Ora il mio bel boxino, con in più altri due dischi di nastri live ritrovati più di recente, è stato ristampato dalla Sony. L’edizione è meno chic (la mia ha un libretto lungo e appassionato), il prezzo lo è di più (lo scontrino nel mio libretto rivela che lo pagai 80 dollari, usato, con il cambio perfido del 2002).

Nei suoi 11 cd ci sono, tra l’altro, delle mazurche di Chopin e dei Quadri di un’esposizione senza confronto, e un po’ di pezzi interessanti che non vi capiteranno spesso (su tutti la sonata di Aaron Copland).

È il momento di sguainare la carta di credito. Sbrigatevi.

Alberto Notarbartolo è un vicedirettore di Internazionale molto appassionato di musica e dischi.

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