I contenuti, si era detto, ma poi erano poltrone. O almeno, sulle poltrone tutto è precipitato. Così, mentre la pandemia si diffonde e la crisi economico-sociale si allarga, è fallito il mandato esplorativo del presidente della camera Roberto Fico. E adesso al paese non resta che attaccarsi all’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, sempre che si trovi una maggioranza parlamentare. Sullo sfondo restano le elezioni anticipate.
È questo, almeno per il momento, il prodotto della deriva nella quale Italia viva ha precipitato la maggioranza parlamentare, mentre il Movimento 5 stelle si disfaceva a causa delle troppe contraddizioni e il Partito democratico era ridotto all’irrilevanza, offrendo di sé uno spettacolo tragico come anche, nei suoi ultimi giorni a palazzo Chigi, il presidente del consiglio Giuseppe Conte.
Il giornalista Filippo Ceccarelli ha scritto di “mediocri beghe di questa pur spaventosa crisi di governo”. E in effetti quella alla quale gli italiani hanno assistito è stata una messa in scena politicamente indecorosa.
Scontri personali
Un teatro che, sebbene con coloriture meno farsesche, va avanti almeno dal giorno in cui a una maggioranza di destra se n’è sostituita una di centrosinistra guidata dallo stesso presidente del consiglio, senza che di ciò fosse data ragione politica sufficiente, se non quella di impedire alla destra di tornare a governare per mezzo di nuove elezioni.
Era evidente già da allora che il rischio che si stavano assumendo l’M5s e il Pd era troppo grande per le loro spalle politicamente così fragili. Ciò che è accaduto nei mesi successivi non ha fatto altro che confermarlo, con una progressione che ha raggiunto l’acme in queste ultime settimane.
La rottura c’è stata quando le difficoltà nella maggioranza si sono ridotte a uno scontro personale tra Conte e Matteo Renzi, un conflitto che ha avuto per oggetto pressoché esclusivo il potere. La politica è rimasta invece quasi del tutto assente dalla scena, come capita ormai da molto tempo. Nell’ossessione tattica che ha divorato ogni altra cosa, molte sgrammaticature si sono inevitabilmente accumulate e hanno prodotto un clima di generale incoerenza e qualche scorrettezza. L’instabilità della maggioranza è infine sfociata in un dibattito parlamentare che, nonostante la fiducia strappata da Conte, non ha avuto un esito politicamente stabile. E infatti pochi giorni dopo al presidente del consiglio non è rimasto altro da fare che salire al Quirinale con le dimissioni in tasca. Ciò che però è successo nei giorni successivi ha addirittura dell’incredibile.
Nessuna prudenza
Nel bel mezzo del tentativo di riesumare la maggioranza di centrosinistra – annunciato da Conte in senato quando, come se si fosse ai saldi, aveva esplicitamente fatto l’elenco dei posti di governo e sottogoverno disponibili per gli eventuali soccorritori della maggioranza – si è dovuto assistere anche al viaggio di Renzi in Arabia Saudita. Un fatto molto grave per ragioni politiche, geopolitiche e di opportunità.
Il racconto della crisi è stato costruito dagli stessi partiti su toni sempre sopra le righe, e senza quel minimo di prudenza che normalmente aiuta a non precipitare la politica nel ridicolo delle convenienze del momento. Il tasso di testosterone è parso pesare più delle ragioni politiche, ancor più di quanto non accada di solito.
A raccontare questo quadro desolante ci sono di per sé alcuni dei titoli apparsi sui principali quotidiani in questi giorni: “Stallo messicano e pistole puntate ma la crisi non è un western”, “Il parlamento personale”, “Un tatticismo deprimente che non offre soluzioni”, “C’eravamo tanto odiati”, “Crisi di governo: il senso da trovare”, “La politica degli indifferenti”, “Gli scambisti della crisi: una poltrona vale l’altra l’importante è il potere”.
Non si potrà accusare di qualunquismo i giornali solo perché costretti a raccontare la crisi forse più drammatica che si ricordi. Ma anche la più opaca, astiosa, vissuta su scorrettezze reciproche e incoerenze plateali. Il tutto, poi, come se nessuno ne dovesse rispondere politicamente, in un clima d’irresponsabilità che ha lasciato un paese allibito e solo di fronte alle emergenze economiche, sanitarie e sociali. Con il rischio che nella sua parte più profonda cominci a rispondere anche al richiamo di una voce autoritaria.
In questo quadro, tra chi trascorre la propria esistenza raschiando i meandri della politica, c’è chi afferma che la partita l’abbia vinta Matteo Renzi. Forse è vero. Tuttavia, assegnare vittorie e sconfitte appare al momento quanto meno prematuro, soprattutto se si dovesse scivolare verso le elezioni anticipate. Ma, poi, vinto cosa? E, soprattutto, cosa stanno perdendo l’Italia e gli italiani? Forse molto e, anzi, troppo a giudicare dalle parole di un Sergio Mattarella apparso attonito nell’annunciare al paese il fallimento del mandato esplorativo affidato a Fico.
In questa situazione così lacerata e apparentemente irrimediabile l’appello finale alle forze politiche a concedere la fiducia a un “governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica” è suonato come la proclamazione del fallimento di un’intera classe dirigente. E purtroppo non è la prima volta che gli italiani sono costretti a constatarlo.
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