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La paura gonfia la crisi delle borse asiatiche

Davanti a una società di intermediazione a Tokyo, in Giappone, il 10 febbraio 2016. (Thomas Peter, Reuters/Contrasto)

L’inizio del 2016 non è stato affatto felice per le borse. Questa settimana, in particolare, tutte le principali piazze finanziarie mondiali hanno registrato gravi perdite. Una delle più colpite è stata Tokyo, che ha perso più dell’11 per cento negli ultimi quattro giorni. Ma le cose vanno male anche negli Stati Uniti, dove molti temono che la ripresa sia già a rischio, e in Europa, dove destano forti preoccupazioni le banche. “Diciannove delle ventuno grandi borse globali”, scrive la Bbc, “sono in calo rispetto allo stesso periodo di un anno fa”.

Dappertutto, insomma, gli investitori stanno cercando di vendere le azioni in loro possesso, probabilmente per rifugiarsi in investimenti più sicuri, come l’oro o alcuni titoli di stato. Perché succede tutto questo? “Come in un giallo di Agatha Christie”, scrive il Financial Times, “per il crollo borsistico più grave dal 2008 ci sono già una decina di sospetti”.

Territori sconosciuti

Alcuni accusano l’Opec, la cui scelta di non diminuire la produzione di greggio e quindi di tenere bassi i prezzi del petrolio, ha finito con il danneggiare l’industria energetica statunitense e di conseguenza l’economia statunitense. Altri, invece, parlano dei fondi sovrani dei paesi petroliferi che, vedendo ridurre le entrate provenienti dal greggio, hanno deciso di liquidare gli investimenti e trarne dei profitti. Poi ci sono i timori di una nuova recessione mondiale, che questa volta parte dalla Cina, dagli Stati Uniti e dall’Europa.

L’economia cinese sta rallentando alla ricerca di un modello che non dipenda più dalle esportazioni, ma nel frattempo Pechino svaluta la sua moneta, lo yuan, e deve affrontare le conseguenze dei ripetuti crolli in borsa. Negli Stati Uniti, la Federal reserve (Fed), la banca centrale, ha da poco aumentato i tassi d’interesse puntando su una ripresa consolidata dell’economia, ma il 10 febbraio Janet Yellen, la presidente della Fed, ha detto che “l’economia globale non aiuta la crescita statunitense”.

Il tentativo della politica di delegare alle banche centrali la soluzione dei problemi sta mostrando tutti i suoi limiti

L’eurozona, infine, non è ancora fuori dalla crisi del debito e in più è alle prese con le difficoltà delle sue maggiori banche, soprattutto in Germania, in Francia e in Italia. Un altro fattore preoccupante sono le stesse banche centrali, sempre più decise a proseguire nel “territorio sconosciuto” dei tassi negativi.

Ora anche il Giappone e la Svezia, seguendo l’esempio della Banca centrale europea (Bce) e della Banca nazionale svizzera, hanno deciso di applicare tassi negativi ai depositi degli istituti di credito: l’obiettivo è spingere le banche a non tenere ferma la loro liquidità – per esempio quella incassata con il programma di quantitative easing (l’acquisto massiccio di titoli da parte della banca centrale) nell’eurozona – ma a farla circolare in forma di prestiti alle persone e alle aziende, favorendo la ripresa.

Segno, conclude il Financial Times, che il tentativo della politica di delegare alle banche centrali la soluzione dei problemi sta mostrando tutti i suoi limiti: “Le azioni di politica monetaria stanno perdendo efficacia e forse è arrivato il momento per i politici di passare all’azione, per esempio ricapitalizzando le banche europee o ricostruendo le infrastrutture statunitensi”.

Profezia che si autoavvera

A quanto pare, insomma, gli investitori stanno fuggendo perché temono una catastrofe analoga a quella del 2008 e non hanno più fiducia in nessuno. Tra i principali indiziati per i crolli borsistici ce ne sono due che spesso non vengono nominati: la paura e l’incertezza.

“Nella maggior parte dei paesi i dati sull’economia reale non sono troppo negativi”, osserva l’Economist. In molti, allora, sorge il sospetto che la paura espressa dai mercati finanziari in questi giorni possa essere una sorta di profezia che si autoavvera. “Spesso i mercati elaborano previsioni sbagliate, ma in alcuni casi fanno sì che diventino realtà”, scrive il Wall Street Journal. “A volte i punti di svolta economici sono causati da fattori psicologici più che dai tassi d’interesse o dai salari. I mercati influenzano le scelte indicando alle imprese se è il caso di investire o assumere. E a quel punto la semplice paura di una recessione può autoavverarsi”.

Secondo il quotidiano finanziario statunitense, l’economia mondiale non gode di ottima salute, ma “l’ansia” degli investitori ha ingigantito i crolli di questi giorni. E quest’ansia non è tanto legata al petrolio o agli indici di produzione, ma alla politica. “La Fed continuerà ad alzare i tassi? La Cina svaluterà ancora lo yuan? Il Regno Unito uscirà dall’Unione europea? Il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà un populista che stravolgerà l’ordine economico? Le incertezze della politica accrescono la rischiosità degli investimenti”.

Ed è improbabile, aggiunge il Wall Street Journal, che l’incertezza diminuisca in questo 2016. Il pericolo, conclude l’Economist, è che “il mondo dell’economia possa sprofondare in un ciclo di ‘paura finanziaria’ da cui non sarà facile uscire”.

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