Se le bancarelle di Portobello Road superassero la linea immaginaria che le separa dagli eleganti quartieri di Kensington e Chelsea, ne verrebbe fuori qualcosa di simile al mercato di San Telmo, a Buenos Aires.

La sua grandiosità vittoriana è ormai in decadenza, i banconi di marmo sono pieni di crepe e il flusso di prodotti freschi è ostacolato da cianfrusaglie polverose, come una discarica che ostruisce il fiume. Diego mi indica una bancarella e mi racconta che lì, quando veniva da ragazzino con sua madre, c’era sempre una cinquantina di casse di polli vivi.

Lei ne sceglieva uno e – dopo una stretta intorno al collo e un gorgoglio soffocato – era pronto per essere portato a casa. Adesso i polli non ci sono più. È rimasto solo qualche macellaio, ma sono ridotti a un piccolo ghetto circondato da vecchi telefoni, gatti di peluche, giocattoli rotti e mate di seconda mano.

“Todo bicho que camina va a parar al asador”: tutto quello che cammina va a finire sulla griglia. È un eufemismo che riassume l’atteggiamento argentino verso gli incontri culinari e sessuali: va bene tutto, basta che sia carne. La Brigada è di fronte al mercato. Il menù è in pelle animale: è marchiato a fuoco con la sigla “LB” e le pagine sono decorate con disegni di bestiame.

Da alcune mensole sopra le nostre teste ci scrutano dei modellini di tori. Sui tovaglioli sono ricamate delle corna. Diciamo che c’è un tema ricorrente. Si comincia con delle empanadas: sono simili ai calzoni, ma fatte con la pasta frolla e un ripieno di manzo cotto per almeno cinque ore. Poi il cameriere ci porta animelle, salsicce di cinghiale e una scelta di tagli di manzo. Li affetta con un cucchiaio. Il sangue gocciola e forma pozzanghere sul piatto. Mi dà alla testa. Sono stordito ed euforico.

Ma non mangerò più carne per un mese. Non dopo l’ultima portata: criadillas, dette anche ostriche di montagna. O testicoli di toro. Me li aspetto almeno delle dimensioni di un limone e sono sorpreso quando vedo che non sono molto più grandi dei miei. Chiediamo al cameriere se a lui piacciono. Ride divertito. No. Ne infilzo uno con la forchetta. Esce una specie di liquido chiaro e una forte puzza. Ne taglio un pezzetto. Me lo metto in bocca. Mastico. Sembra di mangiare un sacchetto di monetine ossidate.

No, non è buono. Sarà pur vero che tutto ciò che cammina va a finire sulla griglia, ma questo non significa che poi bisogna mangiarne anche le palle.

Internazionale, numero 637, 13 aprile 2006

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