È il 20 marzo e compio trentaquattro anni. Per festeggiare sono andato da Les Halles, la brasserie dello chef Anthony Bourdain a Manhattan. Ci volevo andare da sei anni, da quando avevo letto il suo libro Kitchen confidential, ai tempi in cui lavoravo come cuoco.

Mi era piaciuto com’era riuscito a cogliere il parallelo tra la felicità rock and roll che regna in cucina e quella dietro le quinte. Ero venuto per il suo Rossini: l’hamburger più lussuoso di New York. Carne macinata e poi abbrustolita ricoperta da uno strato di foie gras fatto in casa, e una salsa al vino rosso e tartufi neri in cui intingerlo.

Quando ho letto il libro di Bourdain, come la maggior parte dei giovani cuochi non potevo permettermi di mangiare il cibo che mandavo ai tavoli ogni sera. Adesso sto ordinando questa deliziosa opulenza condita con crudeltà. Mi sento colpevole? Mi dispiace per il giovane chef dietro le tendine della finestra della cucina? Sono felice di non essere al verde? Metto forse in dubbio i miei princìpi morali?

Mi torna in mente il mio quinto compleanno. Penso alla torta, una gloriosa creazione di mia madre, il pezzo forte della festicciola nel soggiorno della nostra casa di Sunderland. Doveva essere un sabato perché riesco a sentire le urla del Roker park in sottofondo mentre, in preda a un’incontenibile eccitazione, aspetto che arrivino gli ospiti.

Mi faccio largo in mezzo ai palloncini, ai festoni, ai regali impacchettati e all’asino senza coda. Valuto il banchetto. Sfogliatine di salsiccia: orribili. Patatine: buone. Sandwich: orribili. Bibite: buone. Torta: straordinaria! È così azzurra! È il colore più bello di tutti! Per questo è il mio preferito. La glassa è così pesante da far pensare che sotto non ci sia la torta, ma solo altra glassa. Mi piace. È decorata con un grosso cinque giallo. LA VOGLIO SUBITO! Vedo il mio dito. Non riesco a controllarlo. Si conficca nella curva inferiore del numero.

Il mio dito tasta e scava nel giallo portandone un po’ alla bocca. Una splendida sensazione di gioia trasmette felicità al cervello. Scava ancora. Ancora gioia. Non sembra più un cinque. Rimane solo una piccola porzione di glassa e un dilemma morale: la paura dello schiaffo. Mi lascio guidare dalla logica.

Se non c’è nessun cinque sulla torta, nessuno saprà che manca qualcosa. Finisco il giallo, lasciando un mare azzurro e imbrattato. Non ricordo cosa avvenne dopo. Ricordo solo quanto era buona la glassa. Comunque, l’hamburger era eccellente.

Internazionale, numero 639, 27 aprile 2006

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