Non riesco a capire da dove venga questo cibo. Medio Oriente? Nel menù ci sono ingredienti come yogurt, prezzemolo, lenticchie e limone, ma poi c’è anche una lunga lista di tipi di vodka. Forse è cibo ucraino? O georgiano?
All’interno c’è una coppia che si sta leccando i baffi come i gatti dei cartoni animati dopo che hanno mangiato un topo. Si sbracciano facendomi cenno di entrare. Potrebbe anche andare. Mi sono fatto tutta Queen street a piedi, a Toronto, e adesso ho fame.
Prima sono entrato al Done right inn, una bettola senza pretese con i Dead Kennedies nel jukebox. I suoi divanetti malandati sarebbero stati un ottimo rifugio domenicale, ma non avevano più niente da mangiare. Allora ho provato qui al Banu e ho l’impressione di essermi imbucato a una festa di cui sono l’unico ospite. “Entri! Prego, si accomodi! È il nostro primo giorno!”.
È il loro primo giorno di attività. “Che gliene pare? Non conosceva i piatti sul menù? È persiano!”. Adoro il cibo iraniano. È delicato ed entusiasmante. Mia zia Soori e la madre del mio amico Andrew me lo cucinavano quando ero piccolo. Entrambe hanno lasciato l’Iran dopo la rivoluzione. Come i fratelli che gestiscono il Banu.
Mi portano del succo di melograno appena spremuto, yogurt coperto di petali di rosa, un pasticcio di melanzane al siero di latte e noci e shashlik d’agnello avvolto in fette di pane lawasa con menta e basilico. Mi sento un commerciante di spezie del seicento invitato a un banchetto nel deserto. Chiedo notizie sulla vodka a Samarin, una dei proprietari.
“Era la bevanda più diffusa prima della rivoluzione. Stiamo cercando di ricreare il cosmopolitismo del nostro paese negli anni settanta”. Samarin è minuta, spumeggiante di gentile energia. La sua maglietta dice: “Rosa Parks: Teheran ha bisogno di te!”.
“Per le donne è apartheid. Sono tornata nel 1999 e non sopportavo gli sconosciuti che mi dicevano di coprirmi. L’Iran era una società così progredita”. C’è un lampo d’orgoglio nei suoi occhi. “Esiste ancora un’enorme controcultura: il 70 per cento della popolazione ha meno di trent’anni. Bush è un imbecille. Senza di lui, non ci sarebbe stato nessun Ahmadinejad”. Sul retro della maglietta c’è scritto “amore” in persiano.
C’è molto amore al Banu: amore per il cibo e amore per una casa perduta. Me ne vado soddisfatto, pieno di cibo e di speranza per Samarin e i suoi fratelli.
Internazionale, numero 643, 25 maggio 2006
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