La compagnia assicurativa mi ha fatto sapere che non assicura contro il terrorismo. Terrorismo? Seguendo il consiglio del mio direttore, ho chiesto di stipulare una polizza ad alto rischio prima di imbarcarmi di nuovo su una nave diretta nella Striscia di Gaza. Nel 2008, quando sono salita sulla Free Gaza boat, quest’idea non mi era nean­che passata per la mente. Ma dopo l’attacco israe­liano alla Mavi Marmara nel maggio del 2010, i pericoli del viaggio vanno ben oltre la nausea e il freddo notturno.

Porta i tappi per le orecchie, mi ha avvertito un ex pilota militare israeliano, oggi un refusenik. L’esercito potrebbe attaccare con la tecnica dell‘“urlo”, in grado di danneggiare i timpani. Oppure potrebbe usare i cani, ma spero che siano di quelli addestrati a fiutare droga e armi – che non avremo – e non di quelli che ti buttano a terra e mordono. Poi ci sono gli spruzzi di acqua fetida, disgustosi ma superabili, i proiettili di vernice, dolorosi ma tollerabili, e il gas lacrimogeno, che ormai fa parte della dieta cisgiordana.

Mi rifiuto di considerare l’idea che vengano usati proiettili veri. Un giornalista straniero mi ha chiesto se porterò il giubbotto antiproiettile. Ma la mia filosofia è comportarsi come gli altri. Dopo tutto non sono una fotoreporter che deve sfrecciare in mezzo alle pallottole. In quel caso, come il pisello della favola di Andersen, mi nasconderò sotto centinaia di panni e materassi, da qualche parte sotto coperta. E al diavolo il giornalismo in prima linea.

Traduzione di Andrea Sparacino

Internazionale, numero 903, 24 giugno 2011

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