Il mio interlocutore a Gaza non si fermava un attimo: una storia dietro l’altra, un esempio e poi altri quattro. Gli ho chiesto se non fosse rischioso parlare al telefono così esplicitamente. Non mi riferivo alla possibilità che i servizi segreti israeliani intercettassero la nostra telefonata. Per loro una discussione sui raid aerei dell’ultima settimana, responsabili della morte di diciotto persone (tra cui tre bambini), non era una novità.
E poi il mio interlocutore non stava parlando di quello. Parlava delle restrizioni agli spostamenti volute da Hamas. Un caso di cui si è parlato molto riguarda otto studenti delle scuole superiori che hanno ricevuto una borsa di studio per andare negli Stati Uniti. La settimana scorsa il governo di Hamas ha negato ai ragazzi l’autorizzazione a partire. Poco tempo prima aveva impedito a un gruppo di ragazzi di partecipare a un campo estivo… in Cisgiordania. Chi vuole andare all’estero o in Cisgiordania deve informare le autorità con almeno due settimane di anticipo.
Il blocco israeliano sulla Striscia di Gaza, che scatena proteste in tutto il mondo, non preoccupa eccessivamente Hamas, a cui interessa solo importare viveri, materiali edili e carburante. Il blocco, che recide i legami con la società palestinese in Cisgiordania (e in Israele), non ha mai preoccupato Hamas. Costruire un principato islamico è molto più facile se gli abitanti della Striscia sono confinati e non possono fare confronti con altre società.
*Traduzione di Andrea Sparacino.
Internazionale, numero 912, 26 agosto 2011*
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