La donna in camicia da notte non riusciva a stare in piedi da quanto le tremavano le gambe. È per la paura, mi ha spiegato uno dei figli. Il 22 agosto, prima dell’alba, la famiglia Subuh è stata svegliata da un antifurto e da un odore intenso di gomma bruciata. La macchina di Nur el Din, uno dei numerosi fratelli, era stata incendiata. I pompieri palestinesi ci hanno messo mezz’ora ad arrivare. Per raggiungere le aree controllate da Israele, contrassegnate dalla lettera C, hanno bisogno del permesso dell’esercito israeliano. E Dura al Qara’a, dove sono scoppiati gli incendi, si trova proprio nell’area C.
Negli ultimi anni l’insediamento di Beit El è cresciuto a tal punto che oggi confina con Dura al Qara’a, un villaggio a nordest di Ramallah. Gli ebrei dell’insediamento hanno cominciato ad attaccare il villaggio quasi ogni giorno. L’incendio fa parte di questa escalation di violenze. Nella casa dei Subuh vivono più di venti persone e il pensiero di cosa sarebbe successo se le fiamme avessero raggiunto la cisterna di gasolio fa tremare le gambe.
Questi attacchi sono ormai la norma. Lo scorso giugno ho contato più di cinquanta aggressioni. I coloni più anziani e meno violenti sostengono che i teppisti non fanno parte del loro gruppo. La famiglia Subuh mi ha mostrato che la recinzione della colonia è dotata di telecamere. Quindi non sarebbe difficile individuare i teppisti. Ma i coloni non hanno nessuna intenzione di farlo, mi spiega uno dei fratelli.
Traduzione di Andrea Sparacino
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