“Mi conceda solo venti minuti”, ho detto all’ospite di un mio amico nel villaggio ribelle di Nabi Saleh, in Cisgiordania. Gli leggevo in faccia la stanchezza, e c’era da capirlo: la delegazione di solidarietà di cui faceva parte era in viaggio da una settimana. L’ho incontrato venerdì dopo che lui e i suoi avevano assistito alla protesta settimanale contro l’occupazione, brutalmente repressa dall’esercito.

M’interessava molto ascoltare le parole dello statunitense Vincent Harding, 81 anni, storico e amico di Martin Luther King (fu lui a scrivere il famoso discorso di King contro la guerra in Vietnam).

Dopo le prime due domande su King e su Obama, Harding ha cominciato a prendermi in giro: “Davvero pensavi che ti sarebbero bastati venti minuti? Guarda che parlo molto lentamente”. Allora gli ho rivolto una domanda un po’ provocatoria: “La sua delegazione promuove le attività palestinesi non violente. Ma così non finite per attribuire l’onere della non violenza agli oppressi esentando invece l’occupazione, che è la causa di tutte le violenze?”.

Questa volta Harding ha alzato il ritmo delle parole: “La non violenza non è un onere, ma un grande privilegio. Per noi, negli anni sessanta, era un modo per costruire una nuova società. È per questo che sono qui. Incitare i palestinesi alla lotta armata sarebbe molto più facile. Ma per sperare nella pace bisogna rinunciare a distruggere un nemico che a sua volta vuole distruggere te”.

Traduzione di Andrea Sparacino

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