L’incontro con lo storico statunitense Vincent Harding di cui ho parlato la settimana scorsa si è svolto nella casa degli attivisti palestinesi Neriman e Bassem Tamimi. Neriman è una volontaria dell’ong per i diritti umani B’Tselem ed è una dei duecento fotografi che lavorano in Cisgiordania immortalando le violenze di soldati e coloni. Bassem è uscito di prigione a marzo, dopo aver scontato tredici mesi per aver guidato le manifestazioni nel suo villaggio, Nabi Saleh.
Due settimane dopo l’incontro con Harding, c’era una manifestazione davanti a un centro commerciale israeliano in Cisgiordania, a sud di Ramallah. Il supermercato crea molti imbarazzi: nonostante sia irregolare per la legge palestinese, molti vanno a farci la spesa perché è meno caro dei negozi di Ramallah.
Alla manifestazione partecipavano anche Bassem e Neriman. Quando un poliziotto ha preso Neriman, Bassem si è messo in mezzo. L’agente l’ha colpito e gli ha rotto tre costole. Poi l’ha arrestato. Bassem deve affrontare un nuovo processo. Il giudice militare non ha voluto rilasciarlo su cauzione. Di nuovo in carcere, Bassem ha parlato a lungo con gli altri detenuti dell’importanza della “lotta popolare” (cioè la lotta non armata). Dopo il suo rilascio mi ha detto: “La lotta popolare dovrebbe far parte della strategia generale dei palestinesi. Non perché la lotta armata ha fallito, ma perché la violenza omicida ha effetti disastrosi sulla società ed evitarla è utile alla nostra lotta per la libertà”.
Traduzione di Andrea Sparacino
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