Mercoledì gli uffici di Ramallah avevano un aspetto molto diverso rispetto a 32 ore prima. Tutto era in ordine. Gli impiegati dell’Unione dei comitati delle donne palestinesi e di Ad Dameer per i prigionieri e i diritti umani si comportavano come se fosse un giorno normale. Se ne stavano seduti dietro le loro scrivanie, rispondevano al telefono, parlavano con i visitatori, sorridevano, offrivano tè e caffè.
Nella notte tra lunedì e martedì alcuni soldati israeliani avevano fatto irruzione nei locali mettendoli a soqquadro, ma gli impiegati hanno rimesso tutto in ordine nel giro di poche ore. I militari avevano lasciato i cassetti aperti, i documenti sparsi sul pavimento e le porte danneggiate.
Poi è arrivato il momento di valutare i danni. Negli uffici di Ad Dameer, che difende i diritti dei prigionieri politici che si trovano nelle carceri israeliane, mancavano computer portatili, un hard disk, il server, una telecamera e alcuni documenti. Peggio è andata agli uffici dell’Unione, che gestisce ventuno asili nelle zone più povere della Cisgiordania. Mancavano sette computer portatili, alcuni hard disk, telefoni cellulari, schede di memoria di macchine fotografiche e il server. I soldati hanno pensato bene di sequestrare anche materiali pericolosi come puzzle e libri per bambini.
Un portavoce dell’esercito ha dichiarato a un mio collega che l’irruzione è stata condotta contro organizzazioni che hanno legami con i “terroristi” del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
Traduzione di Andrea Sparacino
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