Sono arrivata al mio seggio a Gerusalemme 14 minuti prima della chiusura. Due ore prima avevo partecipato a un dibattito a Ramallah sulla politica coloniale di Israele. La tesi dei partecipanti secondo cui Israele vuole espandere gli insediamenti per impedire per sempre la nascita di uno stato palestinese non ha stupito nessuno. Ha parlato anche un alto dirigente di Al Fatah, Mohammed Shtayeh: “Noi restiamo favorevoli a una soluzione a due stati, ma sta diventando ormai impraticabile”.
Alle otto di sera si è sparsa la notizia che il premier Benjamin Netanyahu aveva subìto un duro colpo alle elezioni. La lista composta dal Likud e da Yisrael beiteinu ha perso circa un terzo dei seggi rispetto alle elezioni precedenti. Ma questo non significa che cambierà la politica israeliana nei confronti dei palestinesi. Il partito centrista Yesh atid, indispensabile per formare un governo, non ha un’opinione in materia molto diversa da quella della maggioranza degli israeliani.
Ho seguito i risultati in tv insieme ad alcuni amici. Uno di loro era sinceramente dispiaciuto del mancato trionfo dell’ultradestra. Habayit Hayehudi, formazione che chiede l’annessione del 62 per cento della Cisgiordania, ha preso meno del previsto. Un altro partito che chiede l’annessione totale e l’espulsione dei palestinesi non ha avuto nemmeno un seggio. Il mio amico sperava che un “governo di pazzi” avrebbe svegliato la comunità internazionale. Adesso il mondo potrà continuare a fare finta di niente.
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