“Sembra l’Italia”, hanno esclamato i tre ragazzi osservando il panorama dalla cima della collina. I mandorli in fiore creavano una foschia rosa intorno alle piccole case di pietra. Naturalmente i tre ragazzi non sono mai stati in Italia, e quello che avevano davanti era un tipico villaggio palestinese, uno dei pochi sfuggiti alle demolizioni israeliane dopo il 1948. È Ein Karem, oggi considerato un pittoresco quartiere di Gerusalemme.
Nel 1945 aveva 3.200 abitanti (in maggioranza musulmani), 555 case e 15mila dunum di terra (1.360 di proprietà di ebrei, il resto degli arabi). Oggi il villaggio è abitato esclusivamente da ebrei e la terra è condivisa da alcune comunità ebraiche. Di solito evito di passare di qui. La bellezza di questo luogo fa male, perché testimonia la perdita su cui si basa il benessere di noi ebrei israeliani.
Ci sono tornata per “infiltrare” i figli di alcuni miei amici di Ramallah dalla parte israeliana del muro. Mi è sembrata un’ottima occasione per condividere la bellezza e il dolore con le persone giuste. Sulla strada per Ein Karem ci siamo imbattuti in decine di ragazzi israeliani mascherati per la festa ebraica di Purim. I tre ragazzi osservavano indignati gli ebrei che si sono appropriati delle loro case e della loro terra. Eppure, allo stesso tempo, guardavano con allegria i piccoli orsi, scimmie, principi e fate che popolavano una città così vicina e così lontana. R., 15 anni, ha sintetizzato perfettamente il loro conflitto interiore: “Quei bastardi, guarda come sono carini”.
Traduzione di Andrea Sparacino
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