Mercoledì mattina un amico mi ha telefonato per informarmi di una manifestazi0ne a El Bireh, in Cisgiordania, per creare un unico stato democratico nei confini della Palestina storica. Erano presenti venti uomini di mezza età e due donne.

L’iniziativa è stata lanciata due anni fa da alcuni dirigenti di Al Fatah, il partito che negli anni novanta aveva sostenuto la soluzione dei due stati e la firma degli accordi di Oslo. Gli organizzatori dell’evento sostengono che Israele abbia ormai reso impraticabile la soluzione dei due stati, e quindi sia necessario riproporre la vecchia idea di un unico stato. Questo garantirebbe tutti gli abitanti, senza discriminazioni etniche, religiose, di genere, linguistiche, razziali e politiche, e concederebbe ai rifugiati palestinesi il diritto di ritorno. O almeno, è quello che vorrebbero i promotori dell’iniziativa.

Unica giornalista presente, ho chiesto ai partecipanti se i cittadini del nuovo stato sarebbero stati palestinesi ed ebrei. Uno di loro mi ha spiegato che i dettagli sono ancora in discussione, ma che personalmente era favorevole a uno stato per due popoli.

Qualche minuto dopo è entrato in sala un importante dirigente di Al Fatah. Dopo l’incontro si è fermato a parlare con me: “Non siamo riusciti a creare uno stato accanto a Israele”, mi ha detto (anche perché Israele non l’ha mai voluto, ho aggiunto io). Gli ho chiesto se potevo citare la sua ammissione di fallimento. “No, è troppo presto”, ha risposto.

Traduzione di Andrea Sparacino

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