“È piccante? Sei sicuro?”, l’uomo di circa sessant’anni, rosso in volto, che aveva rivolto la domanda con un pesante accento russo, era chiaramente scettico. Con in mano un bicchiere di birra (quasi vuoto) ha addentato il peperoncino. Poi ha osservato l’uomo dietro al tavolo e ha scosso la testa. “Non è affatto piccante”.

Ho pensato che fosse troppo ubriaco per sentire il sapore. Senza bisogno di assaggiarlo, avevo piena fiducia nella potenza di quel peperoncino. Partito da Gaza, era arrivato fino al padiglione palestinese di un’esposizione agricola internazionale a Tel Aviv. L’esposizione permette ad agricoltori, esportatori e produttori di macchinari agricoli di incontrarsi per firmare accordi commerciali. In particolare, gli agricoltori palestinesi possono incontrare i proprietari delle catene di distribuzione israeliane.

Ho chiesto agli organizzatori qualche numero di telefono dei partecipanti palestinesi, ma non me li hanno dati. Quando ho raggiunto il padiglione ho capito perché. “Ci hanno chiesto di non parlare con i mezzi d’informazione”, mi hanno spiegato. A quanto pare le pressioni interne per scoraggiare ogni forma di collaborazione con Israele sono molto forti. Ma questo non significa che non si facciano affari con gli israeliani. Significa solo che si fanno in segreto.

A proposito, il peperoncino mi ha deluso profondamente. Era più dolce che piccante, e non faceva onore ai peperoncini che bisogna mangiare in grandi quantità per essere considerati veri gazani.

Traduzione di Andrea Sparacino

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