“Sei rimasta colpita quando hai visto i bambini giocare con le pistole”, mi ha detto F., la mia vicina. Mi aveva vista mentre scattavo fotografie a due bambini che giocavano in strada a Ramallah puntando le loro pistole giocattolo contro un altro bambino bendato e ammanettato. Pensavo che stessero giocando a palestinesi contro israeliani, ma in realtà fingevano di essere rapitori con un ostaggio.
Quando l’ho raccontato alla mia vicina, le è subito venuto in mente un episodio accaduto il mese scorso. Nel nostro vialetto tre sconosciuti sono scesi da un’automobile e hanno chiesto ai bambini: “Chi vuole farci da guida?”. Uno dei bambini si è fatto avanti, e stava per entrare in macchina quando è arrivata un’altra vicina e ha chiesto agli uomini chi fossero. Poi ha agguantato il bambino prima che salisse in macchina. Quando ha cominciato a segnarsi il numero di targa, l’autista è ripartito sgommando.
Nessuno può dimenticare quello che è successo due mesi fa al El Bireh, quando un bambino è stato rapito sul marciapiede mentre sua madre era in un negozio. L’automobile aveva targa israeliana e avrebbe superato senza problemi i checkpoint sulla strada per Gerusalemme. Fortunatamente il bambino ha cominciato a gridare facendosi notare dai soldati israeliani, e si è salvato. Da allora girano strane voci su gruppi criminali che rapiscono bambini per vendere i loro organi. Ecco perché i bambini del quartiere non giocavano a “occupazione e resistenza”.
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