Ho raggiunto Hebron, in Cisgiordania, per seguire gli sviluppi dell’ultimo scandalo: un soldato è stato filmato mentre minacciava di sparare a due palestinesi a cui (insieme ad altri) stava dando il tormento.
Poco prima, nello stesso giorno, il soldato era stato condannato a passare venti giorni in una prigione militare per aver aggredito alcuni superiori, ma l’esercito ha pensato che fosse meglio inviarlo a un checkpoint nel centro di Hebron, all’ingresso di una strada vietata ai palestinesi. Il filmato è stato visto da milioni di persone in tv e su internet, ma circa 150mila israeliani hanno messo un like a un post di sostegno al soldato su Facebook. Evidentemente hanno creduto alle bugie dell’uomo, che ha raccontato di aver reagito a una situazione di pericolo.
Sono andata a trovare il giovane accusato di aver minacciato il soldato con un tirapugni. In realtà aveva in mano una corona di preghiera e si era limitato ad allontanare un ragazzo dal militare, che lo stava assalendo. Quattro giorni dopo alcuni soldati sono tornati per arrestarlo. La verità è che se davvero avesse avuto un tirapugni, sarebbe stato arrestato subito.
I militari sono tornati per fare ciò che fanno meglio: intimidire e vendicarsi. Lo hanno legato e picchiato, poi lo hanno lasciato steso sul pavimento tutta la notte, ammanettato e bendato. È stato rilasciato la sera seguente.
Da allora il giovane, che ha vent’anni, dorme tra gli ulivi di famiglia, lontano da casa e dalla sete di vendetta dei soldati.
Traduzione di Andrea Sparacino
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