Ormai da due anni ad Ha’aretz abbiamo introdotto la chat settimanale con i giornalisti. Mercoledì è toccato a me. Alcune domande mi sono arrivate la sera prima, e così sono rimasta sveglia fino all’alba per rispondere. Ecco alcuni esempi: come puoi definire un crimine la distruzione degli alberi palestinesi e difendere chi lancia le pietre? Come puoi sostenere il sanguinario popolo palestinese?
A mezzogiorno ero in macchina diretta a Tel Aviv per partecipare alla chat. A ovest di Ramallah sono stata costretta ad attraversare un checkpoint del ministero della difesa gestito da un’azienda di sicurezza privata. Il personale tratta gli arabi come fossero tutti terroristi. Ogni volta che attraverso il checkpoint vorrei rispondere “da Ramallah” all’agente che mi chiede da dove vengo, per essere trattata come i palestinesi. Ma il più delle volte vado di fretta e preferisco mentire. Questa volta ho consegnato soltanto il mio documento, senza l’indirizzo (che fa capire se si abita in un quartiere ebraico di Gerusalemme). Naturalmente il mio nome non è sembrato del tutto ebreo alla giovane militare che, prima di lasciarmi passare, mi ha sottoposta a una lunga serie di controlli.
Le due ore che ho passato al computer per rispondere alle domande dei lettori sono trascorse rapidamente. Alcuni mi hanno scritto messaggi di sostegno, altri mi hanno rivolto dure critiche. Nessuno mi ha chiesto come ci si sente a viaggiare dalla gabbia di Ramallah a Tel Aviv.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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