Il sole sta tramontando e siamo in piedi intorno alla tomba del nostro amico Noam Kaminer. Centinaia di persone, molte delle quali non sapevano nemmeno che era malato di cancro, sono qui al cimitero del kibbutz Givat Brenner, vicino a Tel Aviv. In ebraico Noam significa grazia, e lui era davvero un uomo amabile.
Noam era un mio amico d’infanzia, figlio di attivisti come me. Suo padre si era rifiutato di prestare servizio militare negli Stati Uniti durante la guerra di Corea ed era emigrato in Israele. Noam ha svolto il servizio militare obbligatorio a partire dal 1971, in un periodo in cui l’occupazione sembrava temporanea. Durante la guerra del 1973 ha fatto il paramedico, ma poi ha smesso di rispondere alle chiamate dell’esercito ed è stato arrestato più volte. Trent’anni dopo anche suo figlio Matan è finito in prigione per aver rifiutato di arruolarsi, e Noam ne era davvero orgoglioso.
Givat Brenner è stato fondato nel 1928 da emigranti ebrei provenienti dall’Europa. Appena arrivati, comprarono la terra dai palestinesi del villaggio di Zarnuqa. Quando gli abitanti del villaggio furono espulsi nel 1948, il kibbutz ricevette molta terra. Probabilmente i discendenti dei palestinesi espulsi considererebbero questo funerale come un atto coloniale. Quando ho seppellito mio padre nel cimitero di un ex kibbutz comunista, una femminista palestinese ha gridato che la tomba era un furto di terra. È per questo che voglio essere cremata, quando sarà il momento.
Traduzione di Andrea Sparacino
Questo articolo è stato pubblicato il 5 dicembre 2014 a pagina 21 di Internazionale, con il titolo “Il funerale di Noam Kaminer”. Compra questo numero | Abbonati
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