La nuova ministra della cultura israeliana, Miri Regev, ex portavoce dell’esercito, ha congelato i fondi statali per il teatro arabo Al Midan di Haifa dopo la messa in scena di uno spettacolo basato sugli scritti di un prigioniero palestinese, Walid Dacca. Trentadue anni fa Dacca faceva parte di una cellula del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che aveva rapito e ucciso un soldato israeliano.
Trent’anni di carcere hanno trasformato Dacca (cittadino israeliano) in una specie di filosofo. Le sue riflessioni sulla vita in prigione, sull’omicidio e sulla società palestinese sono una lezione illuminante sulla condizione umana. Eppure la società israeliana non sembra interessata. La ministra ha insinuato che il teatro ha ricevuto finanziamenti di “dubbia provenienza”. Formulare accuse di questo tipo senza prove è un tipico atteggiamento dei regimi repressivi.
Regev ha minacciato di tagliare i fondi anche alla cineteca di Gerusalemme, che aveva incluso nel programma del suo festival un film su Yigal Amir, l’assassino di Yitzhak Rabin. Il regista è un immigrato dell’ex Unione Sovietica e condivide le ragioni di Amir. La cineteca ha poi cancellato la proiezione. Alcuni registi di sinistra hanno denunciato la trasformazione del ministero della cultura in ministero della censura, mentre quelli di destra hanno appoggiato la misura contro il teatro Al Midan.
Chissà se tra qualche anno ripenseremo a questi giorni come al punto di non ritorno della società israeliana.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2015 a pagina 30 di Internazionale, con il titolo “Il punto di non ritorno”. Compra questo numero | Abbonati
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