La visita di Vladimir Putin a Budapest, il 17 febbraio, ha confermato il solido legame tra l’Ungheria e la Russia. Ma ne ha anche evidenziato le contraddizioni e i punti deboli.
Il rapporto privilegiato che oggi la Russia di Putin intrattiene con il governo conservatore e nazionalista di Viktor Orbán è senz’altro di natura economica – basato soprattutto sulle forniture di gas e sulla partecipazione di Mosca all’ampliamento della centrale nucleare di Paks – ma anche chiaramente politica. Tra i due leader ci sono infatti diverse affinità ideologiche: la diffidenza verso certe regole delle democrazie liberali, l’attenzione all’importanza dell’identità, della tradizione e della sovranità, e una certa tendenza all’autoritarismo nell’esercizio del potere.
In quest’ottica – e soprattutto in una fase di profonde tensioni tra l’Unione europea e il Cremlino sulla questione ucraina e con le sanzioni ancora in vigore contro decine di funzionari russi – la scelta di organizzare un incontro al vertice tra i due paesi sembra dettata più dalla volontà di lanciare un messaggio all’Europa che dalla reale necessità di discutere contratti e progetti. Tanto più che, secondo diversi osservatori, gli accordi sarebbero già stati definiti in precedenza. Budapest, insomma, ha forse voluto far capire a Bruxelles, che negli ultimi anni l’ha spesso bacchettata, di poter trovare partner strategici ed economici anche a est. E Mosca ha dimostrato di avere ancora alleati su cui contare in Europa, paesi capaci di fare da contrappeso ad altre nazioni su posizioni esplicitamente antirusse, soprattutto i paesi baltici e la Polonia.
Fino a qui l’apparente idillio.
Lo sbarco di Putin a Budapest, infatti, ha sollevato anche reazioni molto critiche. Alcune erano prevedibili: alla vigilia del suo arrivo circa duemila persone hanno manifestato a Budapest contro la politica del Cremlino sventolando bandiere dell’Ucraina. E le contraddizioni di un’amicizia per molti versi singolare, e tutte le polemiche connesse, sono esplose con la decisione del leader del Cremlino di visitare la sezione del cimitero di Kerepesi che ospita le tombe di settemila russi, caduti soprattutto durante la seconda guerra mondiale, un memoriale in loro onore e anche un cippo in ricordo dei soldati sovietici morti nella repressione della rivoluzione ungherese del 1956.
A quanto pare il presidente russo non ha deposto fiori davanti al monumento incriminato, sul quale si legge: “Gratitudine e gloria agli eroi sovietici che hanno sacrificato la vita per la libertà del popolo ungherese nella controrivoluzione dell’ottobre del 1956”. Ma la scelta stessa di recarsi in un luogo controverso, che per molti ungheresi è un insulto alla memoria storica del paese, e per di più al riparo dagli occhi dei giornalisti, tenuti prudentemente alla larga dalla visita, ha comprensibilmente sollevato l’indignazione di una buona fetta dell’opinione pubblica. Una corona di fiori deposta a Budapest davanti al monumento ai sovietici che liberarono l’Ungheria dal nazismo, in piazza della Libertà, forse sarebbe passata inosservata.
Sarebbe anche interessante capire se Orbán, che al cimitero di Kerepesi non c’era, abbia cercato in qualche modo di far cambiare idea a Putin. Di certo, la visita è stata motivo d’imbarazzo anche per lui. E solleva una domanda fondamentale su come il primo ministro riesca a far convivere il suo nazionalismo, che vede nel 1956 l’evento fondante dell’Ungheria moderna, con la simpatia politica verso una Russia che sta esplicitamente riscoprendo l’eredità dell’Unione Sovietica.
C’è poi da chiedersi cos’abbia spinto Putin a compiere un gesto che di certo non accresce la sua popolarità presso quella buona parte di ungheresi che non nutre grandi simpatie per i russi. Una provocazione? Un messaggio inviato all’Ucraina? Più probabilmente la volontà di dimostrare che la Russia di oggi è fiera del suo passato sovietico, senza distinguo di sorta, e che non ha paura di mostrarlo, anche nel cuore dell’Europa e con addosso gli occhi di tutto il mondo.
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