Quattro mesi in più per respirare. L’impegno di Atene a varare un programma per combattere l’evasione fiscale, certi interessi consolidati e la burocrazia, e in cambio l’estensione dell’attuale piano di salvataggio. In concreto, sette miliardi di euro per tenere in piedi il paese fino a giugno.
L’accordo negoziato il 20 febbraio a Bruxelles tra i ministri dei paesi dell’euro e il governo greco non è una vittoria per nessuno: non per Berlino – e infatti il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble si è guardato bene dal presentarlo come tale ai tedeschi – né per Alexis Tsipras, che invece, tornato ad Atene, ha parlato di una vittoria importante.
L’intesa è in realtà un compromesso, provvisorio e non decisivo. Non risolve i problemi sul tavolo – soprattutto come affrontare un debito pubblico ormai ingestibile – e non sgombera il campo dalla possibilità dell’uscita di Atene dall’euro. Ma serve alla Grecia per prendere tempo e arrivare a giugno con proposte più precise.
Tsipras non è riuscito a lasciarsi del tutto alle spalle l’austerità e a ottenere la consistente cancellazione del debito di cui aveva parlato in campagna elettorale. Del resto, i negoziati si affrontano con la consapevolezza che delle concessioni vanno fatte. E il premier greco, insieme al suo ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, e a molti osservatori greci ed europei, lo sapeva perfettamente. Come sapeva che ogni cedimento avrebbe indispettito una parte degli elettori di Syriza e l’ala del partito meno propensa a fare compromessi.
In effetti le cose sono andate proprio così. L’accordo del 20 febbraio è stato accolto dal decano della sinistra greca Manolis Glezos – l’uomo che nel 1941 ammainò la bandiera nazista dall’Acropoli e che nel 2014 Syriza ha portato al parlamento europeo – come un tradimento delle promesse fatte da Tsipras. “I militanti, i simpatizzanti e gli elettori di Syriza a tutti i livelli dovrebbero decidere in riunioni straordinarie se accettano o meno questa situazione”, ha scritto Glezos in un documento pubblicato sul sito del movimento Energoi polites (cittadini attivi).
La reazione di Glezos potrebbe anticipare quella di altri ministri e deputati della sinistra di Syriza nel caso in cui, nel seguito del negoziato con la Germania, Tsipras varcasse quella “linea rossa” stabilita prima del voto e il cui superamento – per riprendere un ragionamento del ministro dell’ambiente Panagiotis Lafazanis – significherebbe la negazione del programma sottoposto agli elettori.
Per scongiurare l’ammutinamento della sinistra del partito, che metterebbe a rischio la tenuta della maggioranza parlamentare del governo, il premier greco dovrà accompagnare alle riforme concordate con l’eurogruppo alcune delle importanti misure sociali annunciate ai greci prima del 25 gennaio. La buona notizia è che per farlo ha quattro mesi: esattamente l’arco di tempo di cui aveva parlato Varoufakis appena dopo il voto.
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