Raffaella Carrà è morta il 5 luglio 2021. Nel novembre 2020 il Guardian aveva ricostruito la sua storia in questo articolo, tradotto sul numero 1385 di Internazionale, il 10 novembre 2020. Compra questo numero | Abbonati
All’inizio di Explota explota, una commedia musicale italo-spagnola ambientata negli ultimi giorni della dittatura di Franco, nella Spagna degli anni settanta, María, un’impiegata dell’aeroporto, fa una consegna in uno studio televisivo, dove attira l’attenzione di Chimo, regista di uno spettacolo di varietà.
Quando María gli dice di non essere una ballerina, lui risponde: “Nessuna ballerina con sangue nelle vene può resistere a questo ritmo”, e le fa ascoltare Bailo bailo, una canzone di successo della pop star italiana Raffaella Carrà.
Se la Svezia aveva gli Abba, l’Italia aveva Carrà, che ha venduto milioni di dischi in tutta Europa. María non resiste a Bailo bailo e Chimo l’assume.
Le ha lasciate indietro tutte
Explota explota, diretto da Nacho Álvarez, rende omaggio ai successi di Carrà, ma non è un film su di lei. Però riflette il cambiamento nel modo di pensare le relazioni sentimentali, la sessualità e l’intrattenimento in un paese cattolico. Uno dei principali terreni di scontro nella commedia è l’altezza che possono raggiungere gli orli delle gonne delle showgirl, e quanto vertiginose possano essere le scollature prima di dover essere coperte con un fiore finto.
Dagli anni cinquanta in poi Carrà è stata una triplice sorpresa, capace di cantare, ballare e recitare, che ha avuto un’influenza impareggiabile nella musica e nella cultura popolare italiana. L’Italia ha avuto cantanti dalla voce più compiuta, che combinavano estensione e vena drammatica: Mina, un mezzosoprano dal talento virtuosistico; Milva, nota come “la rossa” per le sue simpatie politiche e la folta criniera, celebrata per le sue interpretazioni di Bertolt Brecht e Kurt Weill; Patty Pravo, un contralto androgino; Giuni Russo, che sublimava la tecnica operistica nella musica pop e aveva un’estensione di cinque ottave. Carrà le ha lasciate indietro tutte.
I giornali la etichettarono come un fenomeno passeggero
Quando, nel 1968, la cultura giovanile si fece più politicizzata e le sue colleghe si riunivano per manifestare, Carrà andò negli Stati Uniti, dove per un mese, ogni sera, assistette al musical Hair. Tornò a casa convinta che l’intrattenimento in Italia avesse bisogno di uno scossone. “È stata la prima icona pop, ma le casalinghe l’hanno sempre amata. Ha rivoluzionato l’intrattenimento televisivo”, ha scritto la giornalista Anna Maria Scalise nel 2008. Nel 1974 Carrà dichiarò: “Non m’ispiro a nessuno. Parlo ai bambini, ai padri appassionati di calcio, alle mogli, insomma alle famiglie italiane che guardano la tv”.
Il suo palcoscenico erano le trasmissioni di varietà italiane, fatte di canzoni ispirate a Broadway e balletti. Diventò famosa durante l’edizione del 1970 del varietà Canzonissima, che conduceva insieme ad altri, in cui le sue canzoni erano collegate a numeri di danza. Nei titoli di testa cantava e ballava sulle note di Ma che musica maestro, simile a una fanfara, indossando un due pezzi con tanto di top corto. Era la prima volta che qualcuno osava esibire l’ombelico nella tv pubblica. Il Vaticano e i dirigenti più conservatori della Rai, dove andava in onda Canzonissima, rimasero scandalizzati. Il conduttore televisivo Maurizio Costanzo la definì “la regina del così così”. Questo non le impedì di essere scritturata anche l’anno successivo, quando, insieme al ballerino Enzo Paolo Turchi, si esibì nel Tuca tuca: un ballo in cui gli artisti si toccano in diverse parti del corpo, man mano che il brano va avanti. La canzone è degna di nota per il modo in cui insiste sul ruolo attivo delle donne. “Ti voglio”, canta Carrà. E aggiunge: “L’ho inventato io”.
Il pubblico era felice di vedere coreografie che non richiedevano un’eccessiva preparazione, ma i censori interruppero questa routine dopo la terza esibizione. A salvare la situazione fu Alberto Sordi, che per la sua partecipazione a Canzonissima fece reintrodurre il balletto, rafforzandone così il successo agli occhi del grande pubblico. Tuttavia i giornali etichettarono Carrà come un fenomeno passeggero e la paragonarono allo “champagne lasciato senza tappo”.
Prendere l’iniziativa
Invece l’effervescenza di Carrà non si sarebbe fermata. Indossava tute proto-glam con aperture, mantelli, diamanti artificiali, piume unite a un caschetto di capelli di fronte al quale il look di Anna Wintour impallidisce. Ma ciò che la distingueva da altre artiste capaci di cantare, ballare e recitare era il fatto che appariva sensuale senza essere un modello irraggiungibile. Insegnava alle donne che prendere l’iniziativa in camera da letto non era scandaloso, che andava bene perdere la testa per un omosessuale e che non tutte le relazioni sono esattamente sane.
Nel 1976 cantò la sua canzone di maggior successo internazionale, A far l’amore comincia tu, un incitamento alle donne affinché facessero capire ai loro amanti cosa volevano fare a letto. La versione di Carrà appare in un episodio della serie tv Doctor Who, e anche Jep Gambardella, il protagonista del film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, balla sulle note di un frenetico remix del brano alla sua festa di compleanno.
Curiosamente A far l’amore comincia tu fu lanciata sul mercato insieme a Forte forte, un brano che conteneva un messaggio opposto: il piacere di essere sottomessa in una relazione piena di sesso brutale. Per Carrà il piacere poteva venire dal prendere l’iniziativa ma anche dall’essere guidata. Sempre nel 1976 ottenne un grande successo in Spagna. Il dittatore Franco era appena morto e lei conduceva La hora de Raffaella, cantando e ballando come faceva in Italia. “Sono stata fortunata, il mio spettacolo andava in onda subito dopo partite di calcio di grande richiamo, come Real Madrid-Barcellona, questo contribuì al mio successo”, ha detto al Corriere della Sera nel 2018. La sua influenza sulla cultura pop spagnola è stata tale che nel 2018 il re di Spagna ha fatto di lei una dama al orden del mérito civil definendola “un’icona di libertà”.
Il suo ritorno in Italia nel 1978 fu accompagnato da una serie di nuove opportunità artistiche: era arrivata la tv a colori e Carrà fu scelta come conduttrice del varietà Ma che sera. La canzone d’apertura Tanti auguri diventò un inno al sesso e alla sessualità. Il testo dice: “Ma girando la mia terra io mi sono convinta che / non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è”. In un passaggio canta quanto sia bello fare l’amore da Trieste in giù.
In un’altra delle sue provocazioni a Ma che sera, Carrà indossò un abito sexy da suora e cantò su una mela durante un montaggio dei brani più di successo dei Beatles, e i ballerini volteggiavano sotto di lei: l’intera sequenza è un capolavoro allucinato di pionieristici effetti speciali. Durante lo spettacolo cantò per la prima volta il suo single di disco music, Luca, in cui racconta la sua tristezza dopo essersi presa una cotta per un “ragazzo dai capelli d’oro”, che però l’ha tradita con un ragazzo biondo, e che non ha più rivisto.
Regina del Sudamerica
“Uscivo solo con i gay. Quando in sala si faceva buio, loro non cercavano di tastarti”, ha dichiarato nel 2017 al Corriere della Sera, rievocando i suoi anni giovanili. Parlare di omosessualità in modo così schietto e leggero era insolito in un paese cattolico, represso e puritano come l’Italia, e non sorprende che Carrà sia diventata un’icona gay internazionale, tanto da ricevere il premio World pride 2017 a Madrid. Dodici giorni dopo la prima puntata di Ma che sera, il 16 marzo 1978, le Brigate rosse rapirono e poi uccisero il presidente del consiglio italiano Aldo Moro. Carrà cercò di sospendere la trasmissione, ma la sua richiesta non fu accolta perché il programma aveva più di venti milioni di spettatori. L’anno dopo, nel 1979, lasciò l’Italia. “Mi vergognavo a tal punto che non tornai per un lungo periodo”, ha spiegato nel 1999.
Diventò una pop star e attrice in Sudamerica, prima di tornare in Europa, dove dagli anni ottanta ha assunto un ruolo più pacato di conduttrice di talk show, cosa che continua a fare a 77 anni. “Più applaudita di Pertini, più costosa di Michel Platini, più miracolosa di padre Pio”, la descrisse nel 1984 il settimanale L’Espresso.
Oggi siamo circondati da canzoni sessualmente esplicite e sollecitare il piacere del sesso sembra abbastanza scontato. Ma Carrà è stata una pioniera che ha aiutato la gente a vivere vite più ricche di soddisfazioni, usando ritmi a cui nessuna persona con sangue nelle vene può resistere.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Raffaella Carrà è morta il 5 luglio 2021. Nel novembre 2020 il Guardian aveva ricostruito la sua storia in questo articolo, tradotto sul numero 1385 di Internazionale, il 10 novembre 2020. Compra questo numero | Abbonati
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