Da un po’ di tempo mi frulla in testa una storia ambientata in un futuro assai prossimo. Non la scriverò mai, anche perché non ho nessuna idea di come va a finire. Ma ve le racconto per sommi capi, così me ne libero, magari. Voi, se volete, potete suggerire una conclusione (ehi, è una storia. E potete prendervi una buona dose di libertà: io l’ho fatto). O potete aggiungere altre storie.
Il dio del terzo millennio
Each year, Google changes its search algorithm around 500–600 times
Google ha continuato a espandersi e a perfezionare la sua offerta di informazioni fino a rendere impossibile la sopravvivenza economica di ogni altro motore di ricerca, e l’ha integrata con una gran quantità di servizi (dai viaggi al fitness, dalle traduzioni all’istruzione, alle previsioni meteo, alla logistica). Supporta stabilmente l’Interpol, l’Organizzazione mondiale della sanità, la Nato con servizi dedicati non accessibili al pubblico.
I tentativi – sempre più flebili – dei concorrenti sono cessati nel 2017. Del resto, l’offerta di Google è universale e gratuita. L’accesso è semplice e intuitivo, ubiquo, perfino con gli antiquati smartphone. Per questo piace. I bambini imparano l’uso del motore di ricerca insieme all’alfabeto.
In un mondo globalizzato, che grazie alla banda larga consuma zettabyte come caramelle ed è dipendente dal web tanto da dovercisi rispecchiare per conoscere e definire se stesso, la posizione che una notizia, un’idea, un sito, un video, un luogo, un nome, un’immagine, un prodotto o un servizio (insomma: qualsiasi cosa) hanno nelle graduatorie di ricerca di Google e YouTube ne determinano il successo o l’insuccesso. Prodotti e servizi nuovi sono concepiti in funzione della loro possibilità di scalare posizioni nei ranking.
I governi ufficiosamente premono per piegare i risultati delle ricerche ai loro interessi, ufficialmente continuano a cercare con modesto successo sia di regolamentare le attività di Google, sia di schiantarla di tasse, sia di capire quanto legittimamente viene sfruttata la stratosferica quantità di dati risultanti dalla navigazione degli utenti.
Ovunque, nel mondo, il metro di giudizio delle persone è appeso a una “googolata”, e “sei sgoogolato” è diventato l’insulto più feroce: sta per “non sei niente, non vali niente”. Insomma, “non esisti”.
La personalizzazione dei risultati di ricerca a partire dall’analisi del profilo (gusti, tendenze, abitudini) dei singoli utenti ha creato quella che Clarinda Hua e William K. Esposito, del dipartimento di psicologia della Stanford university, hanno definito “sindrome del consenso di Google”: il terrore di “sentirsi contaminati” da fatti o idee troppo lontane dalle proprie attese. A Chattanooga (Tennessee) un giovane predicatore ha fondato una Google church of the true truth: l’azienda ha preso le distanze.
Sotto traccia, intanto, si è consumata una guerra epica, e non precisamente pulita, tra il gigante statunitense del web e la miriade di gruppi che più o meno legalmente (più meno che più) studiano nuovi modi di forzare, ingannare o blandire l’algoritmo segreto, l’ormai glorioso Hummingbird.
Il 4 settembre 2018, in occasione delle celebrazione del ventennale della fondazione di Google, l’azienda annuncia che è in fase di avanzato sviluppo una “soluzione definitiva del problema”: dentro Hummingbird sarà inserita una non meglio precisata “dose di naturale casualità” che, integrandosi con la capacità semantica dell’algoritmo e per non meglio precisati motivi, dovrebbe “rendere molto più difficile la vita di quei figli di puttana”.
La sperimentazione procede con esiti incoraggianti nella prima parte del 2019. Il 30 giugno la modifica all’algoritmo viene varata ufficialmente. Per tutta l’estate le cose sembrano andare bene. Ma già a ottobre la “dose di naturale casualità” eccede le previsioni dell’azienda.
Il fatto diventa pubblico quando l’insignificante video di una ragazzina brasiliana che si depila le sopracciglia scala le classifiche mondiali in poche ore. E resta per due giorni fisso, come primo risultato, qualsiasi sia la chiave di ricerca. In contemporanea risultano irrintracciabili tutti i siti riguardanti cibo, cucina, alimentazione. Il settore agroalimentare registra un immediato tracollo (meno 21,5 per cento rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente).
“È come se la gente avesse smesso di mangiare”, afferma uno sbalordito John Lawrence, del dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti. Evidentemente l’algoritmo ci ha preso gusto a far di testa sua, e “casualmente” ha deciso che il cibo è poco interessante. Del resto è un algoritmo, e va’ a fargli apprezzare il gusto delle fragole. Lawrence aggiunge: “Questo coso pensa di essere dio”.
La formula “dio del terzo millennio” rimbalza in rete. L’algoritmo sembra gradire (il quartier generale di Google un po’ meno) e il tema schizza in alto nel ranking, scatenando un’emulazione globale. A Mountain View migliaia di persone ormai da mesi dormono negli uffici, peraltro molto accoglienti, cercando, invano, di ricondurre Hummingbird alla ragione.
Il giorno di Natale qualsiasi ricerca, in qualsiasi lingua, restituisce solo questa versione di Jingle bells. L’azienda è stremata: non bastasse tutto il resto, si becca quotidiane raffiche di telefonate dall’ufficio esecutivo dell’energica presidente americana.
Google decide che il 2 gennaio tutte le menti migliori dell’azienda e l’intero top management - oltre 500 persone - si trasferiranno, con un volo segreto su una rotta segreta, in una località segreta a nordest del paese per ritrovare pace e concentrazione e, con quelle, auspicabilmente, una soluzione efficace e definitiva.
L’aereo si imbatte in Télos, la peggiore tempesta di neve e ghiaccio degli ultimi cinquant’anni: Google Meteo si è “dimenticato” di segnalarla a Google Path, che ha tracciato una rotta sconsiderata per il jumbo jet – un obsoleto 747 – noleggiato dall’azienda via Google Wings.
Il 747 cade. Nessun sopravvissuto. L’algoritmo ha ucciso tutti i suoi padri.
Tutti, tranne uno: è il giovane, irrequieto, geniale Michael Bennett. Il quale la sera prima si è preso una sbronza mica da ridere, non si è svegliato e dunque non si è presentato in tempo al terminal. Sono le tre di un cupissimo pomeriggio quando (che diavolo?) il trillo del telefono finalmente buca il muro di nebbia etilica in cui Michael è sprofondato da ore, e…
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