Lo humour è affascinante. È seduttivo perché scintilla di intelligenza e accende la complicità. È creativo perché apre nuove prospettive. È tanto semplice da riconoscere quanto difficile da definire. Può essere così coraggioso nell’affrontare le avversità e così potente nel cambiarne il senso da apparire quasi magico: guardate (ve la raccomando assai) la Ted conference di Maysoon Zayd, la prima cabarettista del mondo arabo.
Lo humour non è solo “ridere”: è uno strano cocktail in cui si mescolano – in proporzioni variabili e in una visione del mondo nuova perché stralunata – sorpresa, tenerezza, bonarietà, empatia, indulgenza, candore, massimi sistemi ed eventi minimi, consistenza e leggerezza.
“Lo humour è una specie di ginnastica”, scrive il neuroscienziato Scott Weems per il compassato Wall Street Journal “un modo per mantenere attivo il cervello e per aumentare la flessibilità mentale”, e i suoi benefici non si limitano al miglioramento delle capacità creative. Aumenta la tolleranza al dolore fisico e allo stress, a patto che sia privo di sfumature sarcastiche o autopunitive.
Ma come funziona? Lo racconta in modo convincente Big Think: si tratta di costruire e rinforzare un sistema di aspettative e poi, alla fine, di introdurre un twist (una svolta, un colpo di scena) che se ne beffa in modo intelligente. Allora tutto si scioglie liberandosi in una risata (ed è proprio quello il momento di distensione in cui, se serve, si può anche far passare un contenuto serissimo e importante. Avete notato che è esattamente ciò che fa Maysoon Zayd?).
Il motivo per cui tutto questo avviene è interessante. Il nostro cervello semplifica la complessità del mondo affidandosi a un’infinita serie di presupposti: opinioni stereotipate e precostituite che però ci aiutano a destreggiarci nella quotidianità senza doverci continuamente interrogare su questioni banali. Ma, nel processo, gli errori sono inevitabili, e a volte il cervello tira a indovinare e sbaglia.
Ed ecco perché la risata scatenata dallo humour funziona come fattore adattivo: premia il cervello che corregge una previsione errata sul mondo e aiuta i neuroni a restare vigili nei confronti del divario che esiste tra i nostri presupposti e la realtà.
Anche per questo, e come ricorda Psychology Today, lo humour favorisce il pensiero creativo, e diverse ricerche lo dimostrano. Forbes segnala che nei posti di lavoro in cui lo humour è apprezzato ci sono meno gerarchia e più innovazione. Sottolinea che lo humour è positivo per la cultura aziendale e conclude con dieci motivi per i quali è desiderabile lavorarci (letteralmente) sopra: è amichevole e convincente. Riduce lo stress. Umanizza. Mette gli altri a proprio agio. Favorisce (rieccoci) il pensiero creativo. Costruisce una fiducia fondata sull’autenticità. Migliora il morale. Avvicina. Fa crescere sia il consenso, sia la produttività.
Infine.
Come ricorda The American Scholar, “lo humour è un’abilità esclusiva della specie umana… anche se le grandi scimmie sanno giocare e possono prendersi in giro a vicenda lanciando falsi gridi d’allarme accompagnati da risate, non sono in grado di produrre interpretazioni multiple di una situazione muovendosi avanti e indietro tra l’una e l’altra. Solo noi siamo in grado di farlo perché possediamo una memoria di lavoro molto evoluta, e possiamo tenere a mente più scenari possibili in contemporanea”.
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