Il mondo che noi percepiamo è diverso dal mondo così com’è: come se lo guardassimo riflesso in uno specchio che ne distorce le forme e le proporzioni, ingigantendo alcune parti, rimpicciolendo o deformando o cancellandone altre.
Di tutto ciò spesso non riusciamo a renderci conto. Fatichiamo, insomma, a percepire quanto la nostra percezione delle cose può essere fallace.

Di tutto ciò si è parlato di recente, in occasione dell’uscita di un libro intitolato The perils of perception. L’autore è Robert Duffy, il direttore della sezione inglese della società di ricerche Ipsos. Il testo dà conto dei risultati di uno studio pluriennale che, partito nel 2014, è andato via via estendendosi fino a coinvolgere 38 paesi, tra cui l’Italia. Qui le sintesi annuali dei dati. Qui quel che ne dice il Corriere della Sera. Qui l’articolo scritto da Duffy medesimo, per l’edizione inglese di Huffington Post.

Nella gara a chi ha le percezioni più distorte, sottolinea Duffy, “gli italiani sono degni vincitori. Hanno ipotizzato che il 49 per cento dei connazionali in età lavorativa fosse disoccupato, mentre in realtà si trattava del 12 per cento. Hanno valutato che gli immigrati fossero il 30 per cento della popolazione, quando la cifra reale era del 5 per cento. Hanno ipotizzato che il 35 per cento delle persone in Italia avesse il diabete, quando in realtà è solo il 5 per cento. Gli Stati Uniti non vanno molto meglio. Gli americani hanno stimato che il 17 per cento della popolazione fosse musulmana, quando la cifra reale è di circa l’1 per cento. Hanno ipotizzato che il 24 per cento delle ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni partorisca ogni anno, quando il dato effettivo è del 2,1 per cento”.

In Italia tendiamo a sovrastimare anche il tasso di criminalità, i livelli di obesità, perfino la percentuale dei connazionali ultrasessantacinquenni. Chi pensa di essere immune potrebbe, prima di continuare a leggere, cimentarsi con questa serie di domande, pubblicate da Ipsos in occasione dell’uscita dei dati del 2017. O con queste, pubblicate dal sito del Corriere della Sera.

Ed eccoci al punto cruciale: noi facciamo valutazioni e prendiamo decisioni in base a quello che sappiamo. E quello che sappiamo è costituito dai concetti che abbiamo interiorizzato, mediati e integrati dalle percezioni che abbiamo del mondo che ci circonda. Se le percezioni sono distorte, e se magari anche i concetti sono fragili, facciamo valutazioni infondate e poi prendiamo decisioni stupide, inadeguate o controproducenti. A distorcere la percezione concorrono diverse cause, in parte individuali e in parte contestuali. Tutte insieme provocano la perfetta tempesta del senso. Provo a elencarne alcune.

In primo luogo, meno le persone sono scolarizzate e meno dimestichezza hanno con i numeri, più sono propense a far valutazioni campate in aria, a non comprendere i dati disponibili o a fraintenderli. Noi italiani, spiace dirlo ma è proprio così, come nazione presa nel suo complesso siamo piuttosto ignorantelli. Lo siamo, anche se non lo percepiamo.

A ciascuno tocca affrontare l’onda crescente e pervasiva delle informazioni tutto da solo

Ricordo, a questo proposito, che in Italia abbiamo un misero 18,7 per cento di laureati tra i 25 e i 64 anni, contro una media europea del 31,4 per cento. E ricordo che, ahimé, siamo penultimi in Europa, prima della sola Romania, anche per quanto riguarda i laureati tra i 30 e i 24 anni (dati Istat 2018).

Conseguenza: meno le persone hanno strumenti per districarsi nella complessità del tempo presente, più cercano, per rassicurarsi e sentirsi adeguate, spiegazioni semplificate e possibilmente condite con una dose di emotività, che le aiutino a sentire quel che non sono in grado di capire. E ancora: per via dell’effetto Dunning-Kruger, una nota distorsione cognitiva, meno le persone sanno, più presumono di sapere. Cosa che avviene puntualmente quando l’incompetenza è così profonda e radicata da non arrivare neppure alla soglia della consapevolezza.

Diversi elementi di contesto, comuni a tutti i paesi industrializzati, complicano ulteriormente le cose. Per esempio: le buone notizie vengono considerate alla stregua di non-notizie e pubblicarle è difficile. Le cattive notizie invece si diffondono tanto più quanto più sono cattive, cioè tali da potersi caricare di emozioni forti come rabbia o paura.

Tutto ciò dà origine a un ulteriore paio di distorsioni cognitive: l’euristica della disponibilità (availability euristic) fa sovrastimare la frequenza dei fatti (negativi) di cui più spesso si ha notizia, mentre il bias di conferma (confirmation bias) spinge a cercare notizie, pareri ed evidenze che sostengono ciò di cui si è già convinti, e soprattutto a ignorare tutto ciò che contrasta con le convinzioni pregresse.

Ci sono poi due fenomeni contemporanei che caricano ulteriormente i singoli individui, e in primo luogo i più fragili, di oneri cognitivi assai maggiori che in passato. Il primo è la disintermediazione, favorita dalla comunicazione orizzontale tipica di internet e dalla perdita di autorevolezza dei tradizionali referenti istituzionali, politici e culturali (il medico, il sindacalista, il docente, il giornalista, il parroco, l’esperto…).

Così, a ciascuno tocca affrontare l’onda crescente, caotica, vorticosa e pervasiva delle informazioni (e delle notizie false o manipolate) tutto da solo, senza una guida credibile e senza il sostegno di una comunità di riferimento. Il secondo fenomeno è la solitudine di massa. Quella che fa sentire esclusi e lontani, che affligge tutte le generazioni, che produce ansia e aggressività, e che fa sovrastimare il lato oscuro delle cose distorcendone, appunto, la percezione.

Lo so bene: anche questo articolo entra nel flusso ininterrotto dei dati. Può catturare l’attenzione per una manciata di secondi (e, se proprio va bene, per quattro minuti circa, il tempo necessario a leggere fino in fondo) per poi finire sommerso da tutto il resto.

Ma mi piacerebbe tanto che il singolo concetto di come la percezione di qualsiasi fenomeno può essere (ed è) carente e ingannevole resti fissato nella memoria, come un lembo di seta rossa che sventola agganciato a un chiodo. Un invito a controllare sempre se quello che si percepisce ha almeno una decente somiglianza con ciò che è vero e reale.

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