È venuto il momento, credo, di raccontare in dettaglio cos’è e come funziona una strategia cognitiva che ci coinvolge tutti. E con la quale tutti, in tempi recenti, abbiamo fatto i conti. Riguarda la disponibilità di informazioni, e l’uso che ne facciamo.

Per capire bene di che si tratta ci servono però un paio di elementi di contesto. Eccoli, a grandi linee e in estrema sintesi.

Dunque: istante per istante, noi siamo esposti a un’enorme quantità di dati. Non possiamo elaborarli tutti, sempre, e farlo sarebbe, oltre che enormemente dispendioso, inutile. E troppo lento. D’altra parte, elaborare dati ci serve per renderci conto delle cose: della loro importanza, del loro valore e così via. E per sapere che fare.

Scorciatoie e vicoli ciechi
Quindi, mettiamo in atto una serie di strategie per semplificare il processo di analisi ed elaborazione dei dati che ci servono. In sostanza, andiamo a intuito e cerchiamo vie più brevi.

Alcune di queste vie sono sbrigative ma efficaci. Sono scorciatoie del pensiero, che tutti percorriamo per abitudine e senza neanche rendercene conto. Vengono chiamate euristiche.

Certe altre volte, invece, quella che sembrava una scorciatoia è un vicolo cieco. Cioè, un modo di pensare che si rivela, oltre che sbrigativo, inefficace e ingannevole. In questo secondo caso parliamo di bias cognitivi

Potremmo, in altre parole, dire che i bias cognitivi sono euristiche corrotte, o che funzionano male. Sono euristiche corrotte quando partono non da dati di realtà ma, per esempio, da credenze o pregiudizi (cioè da giudizi infondati). Sono euristiche che funzionano male quando i dati di partenza sono talmente falsati o distorti o sovradimensionati da portare a risultati fallaci.

Distorsioni nel giudizio
Ed eccoci al punto. Non esaminiamo tutti i dati neanche quando, essendo in una condizione di incertezza, dobbiamo stimare la probabilità di un evento, o vogliamo renderci conto della sua importanza, della sua gravità, del suo impatto.

Mettiamo invece in atto una specifica euristica, la quale consiste nel ricorrere agli esempi e alle informazioni che più facilmente e vividamente ci vengono in mente. È “l’euristica della disponibilità (availability heuristic)”, descritta per la prima volta da Amos Tversky e Daniel Kahneman in una fondamentale e citatissima ricerca del 1973. Nel 2002 Kahneman ha ricevuto il premio Nobel proprio per i suoi studi sulle decisioni in condizioni di incertezza.

Così (questo è un esempio di Kahneman) ci capita di stimare la frequenza dei divorzi a partire dal numero di persone divorziate che conosciamo. O stimiamo la probabilità di trovarci coinvolti in un incidente aereo dal fatto di aver avuto notizia di diversi incidenti aerei (in realtà, ci dicono le statistiche, è più probabile morire da pedoni che volando).

Appunto: il ricorrere solo a ciò che più facilmente ci torna in mente può causare distorsioni nel giudizio. Ci sono diversi motivi per cui questo succede.

In primo luogo, è più facile che ci tornino in mente eventi, azioni e fenomeni con cui abbiamo avuto a che fare di recente. Questo capita perché la nostra memoria di quanto è appena avvenuto è molto più ampia e ricca di dettagli della nostra memoria del lontano passato.

In secondo luogo, ricordiamo più facilmente e meglio un’immagine impattante che un testo. Ricordiamo meglio gli eventi eccezionali che quelli appena fuori della norma. Ricordiamo meglio le narrazioni vivide e ricche di emotività che semplici fatti, isolati, nudi crudi.

In terzo luogo, giudichiamo l’importanza e la gravità di un evento in base a quanto intensivamente se ne parla, e la sua probabilità in base a quanto frequentemente se ne parla rispetto ad altri eventi. E, in base a quanto se ne è parlato o se ne continua a parlare, lo ricordiamo di più.

Ecco il motivo per cui la qualità e la quantità della copertura mediatica può interferire con la nostra percezione dei fenomeni, distorcendola in modo significativo. In Pensieri lenti e veloci, Kahneman scrive: “Le persone tendono a valutare l’importanza relativa degli eventi in base alla facilità con cui questi sono recuperati dalla memoria – e questo è largamente determinato dall’estensione della copertura mediatica”.

Ricapitolando: sovrastimiamo la frequenza, l’importanza e la gravità di fenomeni che si sono verificati di recente. Di cui abbiamo visto molte immagini. Che sono ad alta intensità emotiva. Che hanno prodotto narrazioni articolate. E di cui tutti parlano perché hanno un’ampia copertura mediatica.

Per carità: i mezzi di comunicazione fanno il loro lavoro, che è quello di tenerci informati. Ma dobbiamo ricordare che non tutti sono ugualmente autorevoli, affidabili, propensi a separare i dati dalle coloriture o dalle accentuazioni emotive. Sono proprio quelle che meglio catturano la nostra attenzione.

Dobbiamo tener presente che ogni immagine che ci viene mostrata isola una minuscola porzione (magari, ma non sempre, emblematica) della realtà, ma non corrisponde all’intera realtà.

E dobbiamo anche tener presente che siamo esposti a una quantità di notizie false, che proprio per il loro essere false viaggiano (è dimostrato) più velocemente ed estesamente.

Tutta questa roba, per il solo fatto di entrare nel nostro paesaggio cognitivo, e per via dell’euristica della disponibilità, orienta in modo molto significativo la nostra capacità di valutazione. E può orientare in modo altrettanto significativo le nostre emozioni.

Selezionare le fonti
Inoltre. Poiché la fame di nuove notizie (c’è internet e ci sono le trasmissioni non stop da alimentare) supera l’effettiva produzione di nuove notizie (da un’ora all’altra, poche cose cambiano) ecco che si ricorre ai commenti e ai commenti dei commenti. Se capita, a un po’ di notizie false. Che magari sono a loro volta commentate per evidenziarne la falsità, ma che comunque ci restano in mente. Ed ecco ulteriori interferenze, e, infine, l’infodemia: il contagio da eccesso di informazioni fuorvianti di recente segnalato dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Se i mezzi di comunicazione fanno (alcuni meglio, altri peggio) il loro lavoro, sta a noi fare il nostro. È un lavoro di igiene del pensiero e della memoria. Si fa selezionando le fonti. Considerando bene i fatti. Ampliando le prospettive, comprese quelle che riguardano la percezione del rischio, che non va né sovrastimata né sottostimata.

Infine: tenere bene a mente come funziona l’euristica della disponibilità aiuta a non essere travolti dalla pura quantità delle notizie e dalla loro pervasività. Dunque, mi auguro che questo articolo vi sarà utile. Anche per resistere alla tentazione di saltare sempre e subito a conclusioni frettolose e, in quanto tali, ondivaghe perché appese all’ultima notizia disponibile.

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