Pro o contro Hezbollah. Il Libano sta attraversando una crisi senza precedenti, con una posta in gioco ben più alta, eppure il rapporto con le milizie armate del partito sciita resta il principale punto di frattura nel dibattito politico. Una frattura che nei prossimi mesi potrebbe allargarsi.
Parte della popolazione libanese considera Hezbollah responsabile per la doppia esplosione che ha devastato Beirut il 4 agosto. Anche se non è stata confermata l’ipotesi di un legame con il disastro, gli oppositori accusano il partito sciita di controllare il porto o addirittura di essere il “proprietario” delle tonnellate di nitrato di ammonio esplose quel giorno. Gli slogan contro Hezbollah hanno caratterizzato le manifestazioni dell’8 agosto. Un pupazzo di carta che raffigurava il leader Hassan Nasrallah è stato impiccato in pubblico. Una scena impensabile fino a poco tempo fa.
Secondo gli oppositori, Hezbollah è corresponsabile della crisi che sta strangolando il Libano perché ha contribuito ad allontanare i principali alleati sulla scena internazionale e a trasformare il paese in un bersaglio della politica statunitense contro l’Iran, che finanzia il partito sciita. Ma è un ragionamento riduttivo: Hezbollah non è direttamente responsabile del debito che ha messo in ginocchio il Libano né del sistema che ha permesso di finanziare lo stato e arricchire le banche. Potendo contare sui propri circuiti finanziari, per anni è rimasto ai margini del sistema clientelare e del sistema bancario. L’economia libanese, strutturalmente disfunzionale, è sopravvissuta grazie ai soldi provenienti dal Golfo. Possiamo dire che Hezbollah ha contribuito questo sì a interrompere il flusso di fondi attaccando le monarchie petrolifere e intervenendo in diverse aree della regione.
Oggi il partito sciita, accusato da ogni lato, incassa senza reagire. Gli ultimi mesi sono stati difficili. La rivoluzione – cioè i mesi di proteste antigovernative e contro il sistema di potere – e la crisi economica hanno scosso Hezbollah. Lo scenario geopolitico appare sempre più sfavorevole: la pressione esercitata dagli Stati Uniti nei confronti dell’Iran, infatti, ha privato il partito di gran parte delle proprie entrate, almeno la metà. I suoi alleati – il Movimento patriottico libero (Cpl), guidato dal presidente cristiano Michel Aoun, e il partito conservatore sciita Amal – sono contestati dalla piazza.
Nonostante questo, Hassan Nasrallah non molla e gioca la carta del “noi contro tutti”, una scelta che compatta la base e assimila le rivendicazioni popolari a un sentimento antisciita. È questo il senso del discorso che ha pronunciato il 14 agosto, quando ha minacciato una guerra civile e ha indicato la via da seguire per evitarla, un governo di unità nazionale composto da politici e tecnici. In altre parole, un ritorno al periodo pre-rivoluzionario. Questa soluzione offre un doppio vantaggio: mantenere lo status quo e far ricadere la responsabilità della crisi sull’intera classe politica.
Ma così il partito rischia di essere accusato di fare il bello e il cattivo tempo in Libano, in una fase in cui è già ritenuto la principale forza contraria al cambiamento del paese chiesto dai movimenti di piazza. Più Hezbollah impone le sue condizioni, più resta al centro del dibattito, anche se non è in prima linea nelle riforme richieste dalla comunità internazionale. Sarebbe nel suo interesse favorire le riforme che dovrebbero permettere al Libano di ricevere gli aiuti della comunità internazionale, al di là di qualsiasi considerazione geopolitica (questa, almeno, è la proposta della Francia).
Il problema è che Hezbollah, che non vuole veder crollare lo stato libanese, fa un altro calcolo: la priorità è conservare a qualsiasi costo i suoi alleati, il movimento Amal e il Cpl, anche se oggi rappresentano i principali ostacoli alle riforme. Hezbollah preferisce resuscitare il governo di unità nazionale (lo stesso che rende impossibile la gestione del Libano) piuttosto che fare un passo indietro e lasciare a un’autorità indipendente i problemi più urgenti. Il motivo è chiaro. “Non esistono personalità neutre”, ha sentenziato il 14 agosto Hassan Nasrallah. Agli occhi del leader di Hezbollah non ci sono sfumature: con lui o contro di lui. Nasrallah ha già anticipato le battaglie del futuro. Sa che il movimento rivoluzionario, favorevole alle riforme che inciderebbero sulla vita quotidiana dei libanesi, finirà per attaccarlo. Sa bene che la Francia, nonostante le sue buone intenzioni, gli è ostile, come sa che perdendo i suoi due alleati si ritroverebbe solo contro tutti.
Nasrallah, soprattutto, ha capito che il nuovo Libano sognato dalla piazza, cioè uno stato degno di questo nome, non può esistere se non viene sciolta la milizia del partito. Alla fine, per Nasrallah, conta solo una cosa: pro o contro Hezbollah.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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