Gli americani imprecano a più non posso. Secondo alcuni linguisti, ogni mille parole pronunciate, in media cinque sono parolacce. Se si tiene presente che tante persone non dicono abitualmente volgarità quando parlano – una ricerca condotta su un gruppo di studenti universitari ha rilevato che quasi la metà di loro non lo faceva affatto in una normale conversazione – è possibile che chi lo fa pronunci 9,43 parolacce ogni mille parole. Eppure nel 1986 gli uomini erano responsabili del 67 per cento delle parolacce dette in pubblico, mentre nel 2006 la percentuale era scesa al 55 per cento, probabilmente non perché gli uomini imprecassero di meno.
E se anche voi siete come molti americani, negli ultimi due anni siete diventati un po’ più scurrili. Tra il 2019 e il 2021 le imprecazioni più comuni su Facebook sono aumentate del 41 per cento, su Twitter del 27 per cento. A quanto pare i bambini dicono più parolacce. Gli adulti ne usano di più al lavoro.
Le persone che conosco e che non avevano mai imprecato prima della pandemia, ora lo fanno un po’ di più, e i miei amici che una volta imprecavano con moderazione sono diventati dei geyser di volgarità.
Parole e intenzioni diverse
Questo in apparenza potrebbe sembrare un fatto negativo, la prova che l’infelicità è aumentata, una conferma del degrado culturale generale o di tutto quello che ci spinge a dire parolacce. O forse le parolacce sono semplicemente un modo per trovare un po’ di sollievo nei momenti difficili. In fondo, non sarebbe un male. In realtà, imprecare può essere sia negativo sia positivo per voi e per la società. Il segreto è imparare come e quando farlo e quando invece è meglio evitarlo.
Un’imprecazione comprende molte parole e intenzioni diverse. Può trattarsi di una lieve modifica a un’espressione, “sono maledettamente stanco” , di una battuta, “per mia moglie dico troppe parolacce, ma secondo me è una stronzata”, o di un’oscenità offensiva che può porre fine a una carriera o a un matrimonio (non faccio esempi; voglio mantenere il mio posto di lavoro e rimanere sposato). Le classificazioni delle parolacce, come il classico testo dell’antropologo Montague Francis Ashley-Montagu The anatomy of awearing (Anatomia dell’imprecazione), distinguono tra imprecazioni generiche, “maledizione”, imprecazioni contro qualcuno, “che tu sia maledetto” e bestemmie , “per Dio”.
Le parolacce alleviano il malessere dovuto al disagio sociale. E possono addirittura attenuare il dolore fisico
Le imprecazioni possono essere volontarie o involontarie. In base a uno studio pubblicato nel 2006, oltre metà delle imprecazioni volontarie è legata a rabbia e frustrazione, il 9 per cento a una battuta e il 6 per cento al dolore. Le imprecazioni davvero involontarie – cioè non controllabili da chi le pronuncia – sono molto più rare e sono associate a disturbi neurologici come l’afasia (in cui il centro del linguaggio posizionato sull’emisfero sinistro del cervello è solitamente danneggiato), la sindrome di Tourette (una disfunzione nei circuiti neurali che collegano parti del cervello che causa movimenti involontari e, in alcuni casi, vocalizzazioni oscene non intenzionali) e alcuni disturbi neurodegenerativi e autoimmuni.
Secondo lo psicologo Timothy B. Jay imprecare con intenzioni ostili è una caratteristica che contraddistingue gli individui che presentano la cosiddetta personalità di tipo A, tipicamente collegata alla competitività e all’aggressività. Le imprecazioni sono associate alla mancanza di scrupolosità e di cortesia. I ricercatori hanno scoperto che i medici che imprecano davanti ai pazienti sono considerati meno affidabili e meno esperti di quelli che non lo fanno.
Ma per non farsi prendere dalla tentazione di concludere che le parolacce sono legate solo a tratti sgradevoli della personalità, vorrei far notare che sono collegate anche all’onestà. Gli autori di tre studi usciti nel 2017 sulla rivista Social Psychological and Personality Science, compreso uno che ha analizzato quasi 74mila interazioni sui social media, hanno scoperto che “l’imprecazione era associata a una minore quantità di bugie e inganni”.
A volte le parolacce ci fanno semplicemente sentire bene e procurano a chi le usa un po’ di sollievo emotivo. Secondo il linguista John McWhorter, autore di Nine nasty words (Nove parole cattive), “quello di cui hai bisogno è un’eruzione piacevole e tonificante che ti permetta di allentare la tensione”. La letteratura accademica dimostra, per esempio, che le parolacce alleviano il malessere dovuto al disagio sociale.
E possono addirittura attenuare il dolore fisico. Nel 2020, un gruppo di psicologi britannici ha chiesto a 92 persone di immergere le mani dentro a dell’acqua gelida. Ad alcune è stato detto che potevano imprecare, ad altre è stato invece chiesto di limitarsi a una parola neutra e non volgare per descrivere un tavolo, come “solido”, o a una parolaccia inventata come “accipanca”. Chi ha imprecato ha tollerato meglio il dolore e ha trovato più divertente l’esperienza rispetto a chi ha usato la parolaccia inventata, ma anche la parolaccia inventata ha recato più sollievo emotivo rispetto alla parola neutra. Non è una sorpresa, dicono alcuni studiosi, che le imprecazioni potrebbero aiutare a migliorare le condizioni dei pazienti. Forse un giorno il vostro medico vi dirà di lanciare due improperi e di richiamarlo la mattina dopo.
Le parolacce possono ferire gli altri o farli ridere. Possono dare un’immagine di minore competenza meno competente, ma possono suggerire a chi ascolta di essere davanti a una persona onesta. Le parolacce incontrollate indicano la presenza di un problema neurologico; quelle controllate possono alleviare la sofferenza sociale e fisica. Nel complesso, non sono né un bene né un male assoluto, secondo gli standard della maggior parte delle persone. Per ritrovare la tranquillità, propongo tre regole per affinare le tecniche d’imprecazione.
Cercare di controllarsi
Anche per chi non soffre di afasia o della sindrome di Tourette, imprecare può diventare un’abitudine, come un tic verbale senza freni. Questo indica una mancanza di metacognizione, ovvero l’incapacità di gestire i propri sentimenti e le proprie reazioni, lasciandosi invece gestire da essi. La felicità è invece associata alla capacità di autogestirsi, che non è compatibile con l’emissione sconsiderata di un flusso di maledizioni ovunque ci si trovi. Se si avverte il bisogno di interrompere questa abitudine, si può ricorrere a uno tra i tanti metodi già collaudati. Per esempio il “barattolo delle parolacce”, un barattolo o una scatola in cui mettere del denaro ogni volta che si dice una parolaccia. È un’usanza che esiste almeno dal sedicesimo secolo, quando espressioni medioevali diventarono parole sconce.
Limitare le parolacce
Se si decide di imprecare di proposito, meglio farlo raramente. Nelle scienze sociali, la legge che probabilmente, batte tutte le altre è quella sull’“utilità marginale decrescente”, secondo cui l’utilità di un bene diminuisce mano a mano che la sua disponibilità aumenta, perché diventa meno desiderabile. Se scegliete di sganciare una bomba di improperi, fate finta che sia una coppa di gelato: assaporatela una o due volte alla settimana, non ogni giorno, e non fate il bis. In questo modo le vostre imprecazioni manterranno la loro freschezza e ciascuna di esse apporterà un beneficio elevato al vostro umore.
Non abusarne e non utilizzarle per molestare gli altri
Alcuni ricercatori hanno scoperto che le parolacce sono più offensive quando sono usate per attaccare o maltrattare qualcuno. Questo potrebbe contribuire a spiegare perché i social media, dove le persone imprecano più che nei discorsi ordinari, possano essere un’esperienza così sgradevole. Anche se non avete cattive intenzioni, offendere la sensibilità e le convinzioni altrui con un’imprecazione può portare a situazioni imbarazzanti da “fuori onda” o addirittura alla perdita del lavoro. Prima di dire una parolaccia, pensateci due volte.
Un ultimo suggerimento: se la tentazione di imprecare è troppo forte, si può prendere in considerazione la possibilità di creare uno “spazio protetto” per le parolacce. Anni fa, quando mio figlio maggiore era ancora piccolo, tornò da un pigiama party a casa di un amico pieno di ammirazione per il padre dell’altro ragazzo. In famiglia vigeva una regola ferrea contro le parolacce, tranne che in auto, dove era permesso dirne a più non posso. Era come una versione per bambini di Las Vegas: quello che dici nel minivan rimane nel minivan.
Mi è sembrata una cosa ridicola, finché non ci ho pensato un po’ su e ho capito che era un’idea geniale. La famiglia otteneva i benefici catartici delle parolacce, limitandone al contempo gli svantaggi sociali. È di questo che parlava Mark Twain quando diceva: “In ogni casa dovrebbe esserci una stanza in cui imprecare. È pericoloso dover reprimere un’emozione del genere”. Non ho un minivan, ma ho cominciato a fare proprio questo nello studio insonorizzato che ho allestito nel seminterrato per le videoconferenze. Quando sono frustrato chiudo la porta, esclamo “accipanca!” – ehi, sono ancora alle prime armi – e mi sento meglio.
(Traduzione di Davide Musso)
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