Mancano soltanto tre giorni alle elezioni europee di domenica, ma a giudicare dalla campagna elettorale è evidente che pochi elettori europei si riconoscono nelle istituzioni dell’Ue, che vengono generalmente confuse sotto l’appellativo “Bruxelles”.
In un momento in cui, per la prima volta nella sua storia, l’Ue mette in atto politiche che hanno un effetto concreto sulla vita di tutti noi (le misure per la riduzione del debito pubblico e del deficit di bilancio) e proprio mentre l’Unione diventa una presenza reale per i cittadini dei 28 stati che la compongono, questa ignoranza sul suo funzionamento e sui suoi centri decisionali è la prima ragione della sua impopolarità. “Chi ti ha dato il diritto di decidere per noi?”, chiediamo a “Bruxelles” considerandola espressione di una tecnocrazia non eletta e antidemocratica. Forse però faremmo meglio a prendere atto della realtà dei fatti, tutt’altro che complicata.
La più antica delle tre grandi istituzioni europee è la Commissione, con sede a Bruxelles. I suoi 28 membri, uno per stato, son nominati dai governi nazionali, ma la loro investitura diventa effettiva soltanto dopo l’approvazione del parlamento europeo, lo stesso che eleggeremo domenica. La Commissione è il “guardiano” dei trattati, che le assegnano il compito fondamentale di proporre e applicare le politiche comunitarie.
Teoricamente la Commissione dovrebbe essere l’istituzione decisionale dell’Europa unita, ma dopo essersi affermata ai tempi di Jaques Delors come reale concorrente degli stati ha finito per soccombere alla volontà dei governi europei, che hanno sempre piazzato alla sua guida una persona che potevano facilmente controllare. Nella realtà dei fatti il ruolo della Commissione si è progressivamente indebolito, mentre a partire dagli anni settanta si è affermata l’assemblea degli stati nazionali, quel Consiglio europeo che il trattato di Maastricht ha incaricato di “definire gli orientamenti politici generali” dell’Unione.
Oggi il vero potere è nelle mani dei 28 leader nazionali. Il Consiglio decide, la Commissione esegue e “Bruxelles” è diventata il capo espiatorio per imporre decisioni nate dal costante negoziato a porte chiuse tra i leader nazionali, eletti democraticamente nei 28 paesi Ue ma portatori di un mandato nazionale e non europeo.
Infine abbiamo il parlamento, unica istituzione eletta a suffragio universale e con un mandato paneuropeo. Il parlamento non ha il pieno controllo né del bilancio né dell’orientamento politico dell’Unione (entrambi prerogative del Consiglio), e nonostante possa opporsi a una direttiva europea non può avanzare proposte nuove. Oggi gli europarlamentari sono in rivolta perché vorrebbero che il capo della maggioranza emersa dalle elezioni europee diventasse automaticamente il presidente della Commissione. In questo modo, dicono, si potrebbe restituire alla Commissione il suo ruolo originario attraverso il suffragio universale. In sostanza ciò che il parlamento chiede è una rappresentanza dell’Ue contro gli stati, ed è precisamente questa la posta in gioco alle prossime elezioni europee, tanto incerte quanto fondamentali.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Precisazione. 22 maggio 2014. Nella versione originale dell’articolo c’era scritto che il parlamento “non controlla né il bilancio né l’orientamento politico”, invece non ha “il pieno controllo né del bilancio né dell’orientamento politico”.
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