Per i leader cinesi la scelta non è facile. Davanti all’immenso movimento di contestazione pacifica che ha invaso le strade di Hong Kong e alla potente aspirazione democratica espressa dalla regione (che il Regno Unito ha restituito appena 17 anni fa e che può contare su istituzioni e leggi proprie), il Partito comunista non ha una soluzione che possa favorire i suoi interessi.

Naturalmente Pechino avrebbe i mezzi per spingere le autorità di Hong Kong a usare le maniere forti. Il governo cinese potrebbe far scorrere il sangue come nel giugno del 1989 a piazza Tiananmen, ma in realtà ciò che è stato possibile a Pechino lo è molto meno a Hong Kong.

A Pechino il massacro aveva spazzato via la contestazione grazie all’onnipresenza della polizia, all’assolutismo delle autorità e alla paura diffusa. A Hong Kong, invece, la sorveglianza della polizia è meno pressante, la giustizia è indipendente e i mezzi d’informazione non sono al servizio del potere (anche se la loro libertà è sempre più limitata), dunque l’uso della violenza potrebbe rafforzare la protesta anziché reprimerla.

Se così fosse, si aprirebbe una crisi lunga e molto grave dalle conseguenze disastrose per l’immagine della Cina in Asia e nel mondo. Il meccanismo potrebbe ripetersi nel resto del paese, e la borsa di Hong Kong subirebbe un inevitabile tracollo a beneficio di Singapore. La forza, insomma, non risolverebbe niente, ma allo stesso tempo i leader cinesi non possono permettersi il perdurare delle manifestazioni e dell’incertezza. Il movimento rischia infatti di ispirarne altri nel resto della Cina, alimentando un dibattito infuocato al vertice dell’apparato.

L’unica soluzione sarebbe quella di negoziare un accordo in modo discreto con i capi del movimento, che a loro volta sanno benissimo di non potersi spingere troppo oltre con le richieste. Raggiungere questo compromesso non sarebbe impossibile, ma i leader cinesi dovrebbero sapere che tipo di evoluzione politica sono pronti a tollerare in Cina e accettare di testarla a Hong Kong. Purtroppo le cose non stanno così.

Divisi in clan rivali che si combattono a colpi di inchieste per corruzione, i padroni della Cina sono sospesi tra due paure: quella di arrivare al punto in cui la pressione farà saltare tutto non appena si verificherà un rallentamento della crescita e quella di far saltare tutto con le proprie mani rifiutando qualunque riforma. A Hong Kong è in ballo il futuro della Cina.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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