È sopravvissuto all’emergenza, ma ormai ricorda sempre di più il Brežnev degli ultimi anni. Un tempo dinamico e brillante, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika è oggi un uomo sminuito, in pieno possesso delle sue facoltà mentali (garantiscono il suo entourage e i suoi visitatori) ma perennemente in sedia a rotelle e segnato da evidenti difficoltà di parola.

Ricoverato per tre giorni a Grenoble dopo essere stato ospitato due volte al Val-de-Grace (nel 2005 e poi di nuovo nel 2013, per tre mesi in seguito a un ictus), il presidente non è chiaramente in grado di ricoprire la sua carica, eppure questo non gli ha impedito di farsi rieleggere ad aprile per un quarto mandato di cinque anni con l’82 per cento dei voti.

La frode è più che un sospetto, ma non è l’unico motivo del trionfo. Per molti algerini Boutef (come lo chiamano) resta un punto di riferimento, una figura conosciuta e più o meno rassicurante in un momento di grande instabilità alle frontiere a causa dei problemi in Sahel e dell’anarchia in Libia. Il presidente algerino ha saputo intaccare i poteri occulti dell’esercito e dell’onnipotente Drs, il dipartimento per le informazioni e la sicurezza, e nel 1999, in occasione della sua prima elezione, ha denunciato tutti i mali del paese con grande energia e convinzione.

Nono esportatore mondiale di petrolio e quarto di gas, l’Algeria è però rimasta un paese da dove i giovani partono per sfuggire alla disoccupazione, alla stagnazione e alla corruzione. Le casse dello stato sono piene e il debito diminuisce, ma molto denaro continua a finire sui conti esteri e lo sviluppo arranca. In questa Algeria disillusa le cose vanno male, ma la perennità di Abdelaziz Bouteflika (altra similitudine con l’ultimo Brežnev) soddisfa tantissime persone, non solo chi preferisce un uovo oggi che una gallina domani ma anche individui come Saïd Bouteflika (fratello del presidente, che aspira a una successione dinastica ancora lontana) l’esercito e il Drs, che non hanno ancora saputo mettersi d’accordo sul nome del successore.

Boutef è diventato l’uomo della paralisi di un paese che si è convertito al multipartitismo alla fine degli anni ottanta ma che poi ha conosciuto un decennio di guerra civile contro gli islamisti e che non sa ancora come entrare davvero nella democrazia. L’Algeria potrebbe essere la California del Maghreb e la locomotiva d’Africa. L’Algeria delle culture potrebbe essere all’avanguardia nell’indispensabile collaborazione tra le sue sponde del Mediterraneo. Invece si limita ad aspettare la morte del suo presidente senza sapere cosa accadrà dopo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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