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Atene e Bruxelles sempre più lontane

È fallita l’ultima tornata di negoziati tra la Grecia e i suoi creditori (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale). Per evitare il default, Atene deve restituire 1,6 miliardi al Fondo entro il 30 giugno. Il mercato europeo è spaventato dall’incertezza e la borsa di Atene chiude con forti perdite

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Lo psicodramma greco e i suoi significati

I negoziati tra la Grecia e i suoi partner europei avanzano lentamente verso la fine, con le due parti che fanno la voce grossa per ottenere più vantaggi possibile. La situazione può essere valutata da due diverse prospettive.

Da una parte ci sono i greci, che vorrebbero comprensibilmente lasciarsi alle spalle i sacrifici che gli sono stati imposti e pretendono un ammorbidimento delle condizioni del prestito, anche perché la popolazione non ne può più di stringere la cinghia e l’attuale governo è stato eletto con la promessa di mettere fine all’austerità.

Dall’altra parte abbiamo gli europei e l’Fmi, decisi a vigilare affinché la Grecia rimborsi le somme enormi che le sono state prestate e si attenga alla riduzione delle spese di bilancio e sociali senza la quale diventerebbe insolvente. La Commissione europea è tanto più esigente perché parla a nome dei 28 stati dell’Unione, dunque anche dei numerosi paesi che hanno accettato l’austerità in cambio di un aiuto economico e stanno cominciando a raggiungere i primi risultati sul risanamento.

Questi paesi non accettano che la Grecia sia trattata con un occhio di riguardo, anche perché i suoi abitanti hanno un tenore di vita e un salario minimo superiori a quelli di altri paesi. L’Fmi mantiene una posizione simile perché non vuole creare un precedente con la Grecia quando le sue condizioni di prestito sui cinque continenti sono ben più severe di quelle dell’Unione europea.

In questa battaglia si affrontano due logiche opposte, e la situazione è tanto più complessa se consideriamo che il governo greco deve fare i conti con l’ala sinistra della sua maggioranza, mentre François Hollande e Angela Merkel, ferventi sostenitori di un accordo, devono gestire il rigorismo del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble e di paesi come Finlandia e Paesi Bassi.

Anche per questo non possiamo escludere l’ipotesi di una rottura della trattativa, ma è molto più probabile che alla fine gli angoli siano smussati al più presto e si raggiunga un compromesso. Ma cosa ci insegna questo psicodramma? Prima di tutto che la Grecia e la sua nuova sinistra non vogliono uscire dall’eurozona e tantomeno dall’Unione europea, e in secondo luogo che neanche il più intransigente degli europei vorrebbe veder uscire i greci, perché il rischio sarebbe quello del crollo dell’Unione.

In poche parole questo psicodramma ci insegna che tutti gli europei – liberisti o di sinistra, da nord a sud e forse con l’unica eccezione dei britannici – danno la precedenza all’unità, quali che siano le critiche reciproche e la profondità del divorzio tra l’Europa e i suoi cittadini.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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