Lunedì mattina avevo appuntamento con il capofila degli islamisti tunisini, Rachid Ghannouchi. Alle porte di Tunisi, il suo ufficio in un palazzo nuovo fiammante ha raddoppiato le dimensioni – nonostante il suo partito Ennahda abbia perso le elezioni dello scorso autunno – e oggi è pieno di giovani funzionari poliglotti e istruiti.

Rachid Ghannouchi. (Samuel Aranda, Corbis/Contrasto)

Dimenticatevi lo Stato islamico e anche la parola “islamista”, che ormai ha perso il suo significato perché è usata per definire realtà profondamente diverse. Al quinto piano dell’edificio, quello dello “sceicco” (termine adottato rispettosamente da alcuni e ironicamente da altri), sembra di essere nella sede di una grande banca: segretari di direzione, arredamento curato e assistenti che si atteggiano a ministri.

Dopo vent’anni di esilio a Londra, Ghannouchi sfoggia una cortesia tipicamente britannica, e quando gli domando cosa lo renda differente dai laici diventati maggioritari (musulmani come lui e altrettanto liberisti e spaventati dall’avanzata dei jihadisti in Libia) risponde senza esitazione: “In effetti un giorno potremmo trovarci nello stesso partito. Noi siamo più legati di loro alle tradizioni religiose e più preoccupati per la sorte dei poveri, ma potremmo tranquillamente far parte dello stesso partito”.

La cosa più sorprendente non è che il leader islamista lo ammetta, ma che (come dicevamo lunedì) stia concretamente governando il paese insieme ai laici grazie a un compromesso storico di cui né lui né i laici negano la portata, evidenziandone al contrario il funzionamento basato su riunioni bisettimanali e contatti permanenti.

Ma allora quali sono le differenze tra laici e islamisti?

A uno sguardo più attento emerge chiaramente che i laici filoccidentali vivono all’europea, mentre lo sceicco pensa e vive nel solco di un’ambizione di unità musulmana, o quanto meno araba. “Abbiamo la stessa lingua, la stessa religione e condividiamo lunghi periodi storici di unità. Siamo molto più vicini a unirci di quanto non lo siate voi europei. La nostra unità è in corso d’opera. È vero, viviamo in una situazione di grande caos, ma non è peggio di quanto accaduto ai tempi della rivoluzione francese”.

A sentire Ghannouchi questa unità produrrà una democrazia del mondo musulmano, la stessa democrazia che il suo partito rispetta e sostiene a Tunisi. Ascoltando il leader di Ennahda viene spontaneo ricordare che già in gioventù era un nasseriano che sognava l’unità degli arabi, e che probabilmente per lui l’islam è solo un mezzo per perseguire un obiettivo.

Quando glielo faccio notare, però, mi smentisce: “Sono arrivato alla politica attraverso la religione, non il contrario”, risponde seccamente. Sarà, ma non siamo obbligati a credergli. Il nome del suo partito significa Rinascimento. Sarà un rinascimento del mondo arabo?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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