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Le incognite di Mosca sul fronte ucraino e su quello siriano

Macerie di un edificio distrutto a Talbiseh nella provincia di Homs, in Siria, il 30 settembre 2015. (Mahmoud Taha, Afp)

Della Siria non si sa, per l’Ucraina abbiamo un “forse”. La cancelliera tedesca e i presidenti di Russia, Francia e Ucraina si incontreranno venerdì a Parigi per fare il punto sull’applicazione degli accordi di Minsk e, stando a ciò che si dice a Mosca, la situazione potrebbe evolversi.

Alcune armi pesanti sono già state ritirate e ora il fronte è un po’ più calmo. I separatisti filorussi sembrano volersi astenere da qualsiasi provocazione e i colloqui preparatori al vertice si svolgono nel migliore dei modi possibile, ovvero non troppo male.

Dato che la completa entrata in vigore degli accordi di Minsk non arriverà prima di dicembre questo vertice non potrà essere definitivo, ma non è escluso che possa segnare un momento di distensione aprendo la strada a un reale compromesso che permetterebbe una cancellazione delle sanzioni economiche imposte dall’Unione europea alla Russia e delle controsanzioni inflitte da Mosca all’Europa. Uno sviluppo di questo tipo sarebbe nell’interesse di tutti e soprattutto degli ucraini. Speriamo bene.

I discorsi in pubblico e quelli dietro le quinte

Per quanto riguarda la Siria la situazione è molto più ambigua. I primi attacchi aerei russi di mercoledì non hanno colpito lo Stato islamico ma posizioni di altri movimenti di opposizione, gli stessi con cui andrebbe discusso un accordo i pace. Come se non bastasse, al momento di annunciare al suo popolo la notizia degli attacchi, Vladimir Putin si è presentato come stretto alleato di Bashar al Assad, e l’unico compromesso a cui ha fatto allusione è un negoziato politico tra il regime e l’opposizione.

Il lato positivo della faccenda è che c’è un abisso tra quello che i leader russi dicono pubblicamente di questa crisi e il modo in cui ne parlano in privato. Dietro le quinte Mosca ammette che l’esercito e il regime siriano sono sul punto di crollare, che Damasco potrebbe cadere il mese prossimo, che la regione di Laodicea (roccaforte della minoranza alauita a cui appartiene il clan Assad) è altrettanto minacciata e che per questo l’intervento militare russo era indispensabile.

Va bene, ma cosa si farà dopo? I russi rispondono che dopo ci sarà la seconda tappa in cui bisognerà discutere tutti insieme e soprattutto con i paesi sunniti e l’Iran, riportato sulla scena internazionale dall’accordo sul nucleare.

Ma quale sarà l’obiettivo della Russia in questa seconda tappa? A questa domanda gli occhi dei leader russi si levano al cielo, come a dire che è meglio non pensare ai problemi di domani. Mosca porta avanti due discorsi, uno semplicistico in pubblico e l’altro sottile e ambiguo in privato. Solo il tempo ci dirà dove sta la verità.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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