Il Brasile si prepara ad aggiudicarsi un nuovo record. Il paese più grande dell’America Latina, e settima potenza economica del mondo nel 2014, oggi ha raggiunto livelli inarrivabili di stupidità con un’inverosimile crisi politica da cui uscirà comunque con le ossa rotte.

Otto brasiliani su dieci non vogliono più la presidente Dilma Rousseff, che rischia di essere destituita dai partiti d’opposizione e da una forza con cui governava fino a due giorni fa. Il motivo è il degrado della situazione economica e le rivelazioni sulle vicende di corruzione e finanziamenti illeciti dei partiti politici.

Salvo nuove rivelazioni, però, Rousseff non è personalmente responsabile di alcuna malversazione, e l’unico rimprovero che le si può fare è quello di aver “truccato” i conti pubblici nel 2014, anno della sua rielezione, e di averlo fatto nuovamente nel 2015.

Eppure, oltre al fatto che ci sono modi diversi di presentare un bilancio, la crisi dell’economia brasiliana non deriva dall’operato della presidente quanto piuttosto dalle difficoltà della Cina, che hanno provocato un crollo delle materie prime e messo in crisi tutti i paesi con cui ha scambi commerciali.

Un momento di difficoltà economica non può giustificare l’interruzione forzata di un mandato presidenziale

Non soltanto Dilma Rousseff non ha colpe per la crisi cinese, ma il suo Partito dei lavoratori, lo stesso dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, può vantarsi di aver tirato fuori, nel primo decennio del secolo, quaranta milioni di persone dalla povertà e di aver garantito a lungo una forte crescita economica.

Colpo di stato
Certo, questo cambiamento delle condizioni richiede nuove politiche e nuove teste, ma la presidente brasiliana non ha torto quando definisce “colpo di stato” la procedura di destituzione a cui è sottoposta, perché per quanto possa essere profondo, un momento di difficoltà economica non può giustificare l’interruzione forzata di un mandato presidenziale.

Questa procedura non ha nulla di illegale, ma è prevista dalla costituzione soltanto in caso di crimini commessi dal capo dello stato nell’esercizio delle sue funzioni, non certo per una gestione contestabile.

Se siamo arrivati a tanto è perché si stanno avvicinando le elezioni locali e tutti i partiti vogliono sfruttare la rabbia popolare per trarne vantaggio e conquistare il potere, cacciando la presidente.

Questo modo di distorcere la costituzione è assolutamente irresponsabile, perché anziché costruire un’alternativa credibile i partiti si stanno già spartendo gli incarichi per arrivare alla maggioranza parlamentare dei due terzi che permetterebbe di destituire Dilma Rousseff, mentre il partito della presidente si limita a promettere portafogli e alti incarichi agli eletti che sceglieranno di appoggiare Rousseff.

La politica brasiliana è caduta davvero in basso e sta trascinando il paese verso l’abisso, come se volesse giustificare la tesi di Clemenceau secondo cui il Brasile è un paese del futuro e lo resterà molto a lungo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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