Non sarà facile e ci vorrà del tempo. Lanciata una settimana fa, l’offensiva per riconquistare Mosul, la seconda città dell’Iraq diventata la roccaforte del gruppo Stato islamico (Is), sarà lunga e complicata.

Nella città vivono un milione e mezzo di uomini, donne e bambini prigionieri dei jihadisti. Fortunatamente, la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti non ha intenzione di seppellirli sotto una pioggia di bombe.

Per questo bisognerà avanzare strada per strada, dopo aver circondato le arterie principali e i palazzi. La liberazione di Mosul sarà forzatamente lenta, e non sarà possibile mobilitare tutte le truppe che la circondano perché il governo iracheno non vuole che siano gli eserciti di Ankara a liberarla per il timore che torni sotto l’influenza turca e perché vuole evitare che le milizie sciite abbiano un ruolo troppo rilevante nei combattimenti in una regione sunnita.

Una doppia svolta
Politicamente e militarmente, insomma, la situazione è estremamente delicata in questa offensiva, che tuttavia segna una doppia svolta.

Come già accaduto con al Qaeda in passato, il gruppo Stato islamico sta perdendo la partita. In ritirata dall’Iraq alla Libia passando per la Siria, l’Is dovrà abbandonare le grandi città che aveva conquistato e devastato, città che rappresentavano un’indispensabile fonte di ricchezza per l’organizzazione. Questo non significa che il tempo degli attentati sia finalmente passato. Ci saranno altri attacchi, perché l’Is cercherà di vendicare la sua ineluttabile disfatta a Mosul con altri massacri, in Medio Oriente e in Europa.

Anche dopo la liberazione di Mosul, il jihadismo continuerà a colpire, ma per quanto sia ancora pericoloso resta il fatto che l’Is non rappresenta la minaccia globale che avrebbe voluto incarnare e nemmeno la minaccia devastante che gli occidentali temevano che fosse. Lentamente lo Stato islamico finirà nella spazzatura della storia, e la liberazione di Mosul priverà Vladimir Putin e Bashar al Assad di una risorsa fondamentale, perché il macellaio di Damasco e il presidente russo non potranno più dire che bisogna salvare il regime siriano a ogni costo per evitare che i jihadisti creino uno stato nel cuore del Medio Oriente.

Oggi, infatti, è ancora questa la tesi di Damasco e Mosca, ma quando l’Is non sarà più considerato una forza in ascesa bensì solo una banda di assassini in ritirata, Putin non potrà più rifiutare il compromesso e dovrà accettare l’allontanamento di Assad. Ancora non siamo arrivati a questo punto e ci vorrà del tempo, ma l’offensiva contro Mosul riapre la strada del negoziato di pace in Siria.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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