Manifestazioni sindacali, mughetto e giorno festivo sono diventati un rituale. In tutto il mondo ma non così pacificamente come in Europa, il 1° maggio celebra il lavoro, le sue rivendicazioni e le sue lotte, e questa tradizione risale al 1° maggio 1886, giorno in cui i sindacati americani avevano chiesto di manifestare e di scioperare in nome di una giornata lavorativa di otto ore.

Questa iniziativa aveva ben presto provocato delle violenze e otto operai erano stati condannati a morte. Quattro erano stati giustiziati e tre anni dopo a Parigi il congresso fondatore della seconda internazionale, quella che sarebbe diventata l’Internazionale socialdemocratica, decideva di fare del 1° maggio la giornata internazionale delle rivendicazioni operaie. La data è rimasta, ma che rimane oggi di questo movimento operaio le cui lunghe battaglie avevano finito per imporre nelle grandi democrazie e soprattutto in Europa la protezione sociale e le politiche di welfare?

Oggi i sindacati sono indeboliti e lo stesso vale per i partiti socialisti o laburisti che in molti paesi gli sono legati. Molto potente nei trent’anni anni successivi alla liberazione, il movimento operaio è oggi in difficoltà per due motivi fondamentali.

I motivi della crisi
Il primo è che dagli anni settanta le classi medie di cui aveva favorito l’affermazione non accettano più che il welfare sia finanziato dall’aumento costante delle loro imposte. Prima in Gran Bretagna poi negli Stati Uniti una gran parte degli elettori si è allontana dalla sinistra per votare la destra liberista, che si è affermata con la rivoluzione conservatrice degli anni ottanta. Così, tra il mondo operaio e le classi medie si è rotta quell’alleanza di classe che era sembrata indistruttibile, e questo a scapito del movimento operaio.

Operai e impiegati si allontanano dalla sinistra e votano l’estrema destra, che vuole chiudere le frontiere e fermare il libero scambio

La seconda ragione di questo indebolimento deriva dalla riduzione delle distanze. Adesso che immensi e veloci mercantili, che l’informatica e l’aereo permettono di delocalizzare le produzioni, il capitale può sempre più liberarsi dal diritto del lavoro e dai salari dei paesi sviluppati. I sindacati e i loro partiti non possono più far trionfare le loro rivendicazioni e neanche proteggere i risultati ottenuti dal movimento operaio perché sono confrontati al problema della concorrenza dei paesi emergenti. Una concorrenza che il capitale può far giocare contro i lavoratori dei paesi sviluppati.

Per questo motivo una parte sempre più grande di operai e di impiegati si allontana dalla sinistra in favore dell’estrema destra nazionalista che, in tanti paesi, promette loro di chiudere le frontiere e di rompere con il libero scambio.

E non è un caso che questo dibattito sia al centro delle elezioni presidenziali francesi, con da un lato il protezionismo che porterebbe solo a una guerra commerciale generalizzata e dall’altro l’Europa politica, la potenza pubblica di un mercato di 500 milioni che permetterebbe d’imporre dei nuovi compromessi al mondo del denaro. E come le lotte di ieri del mondo operaio, anche questa battaglia promette di essere lunga.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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