Non è da solo. Quando Donald Trump attacca il compromesso nucleare con l’Iran e lascia intendere che potrebbe ritirarsi dall’accordo, il mondo intero si preoccupa e si ribella, a eccezione di due paesi: Arabia Saudita e Israele.
Come il presidente statunitense, anche Riyadh e Tel Aviv ritengono da sempre che le grandi potenze abbiano commesso un grave errore scambiando la carta delle sanzioni economiche contro Teheran con l’arresto del programma nucleare iraniano. Guardate cosa sta succedendo, ripetono israeliani e sauditi. Gli iraniani non hanno smesso di espandersi verso il Medio Oriente, di appoggiare il regime di Assad in Siria fornendo armi, truppe e denaro, di rafforzare sempre più Hezbollah (diventato uno stato nello stato in Libano) e di armare e finanziare un’insurrezione sciita in Yemen.
Una spada a doppio taglio
Agli occhi di Israele e dell’Arabia Saudita americani, russi, cinesi ed europei non hanno fatto altro che offrire all’Iran la possibilità di ridare ossigeno alla propria economia, di evitare ogni rischio di conflitto con gli Stati Uniti e di rafforzare un interventismo regionale che ha già trasformato l’Iran in una potenza di rilievo che, al momento giusto, alla scadenza del compromesso, potrà riprendere la sua marcia verso la bomba.
E niente di tutto ciò è falso. Gli iraniani rispettano alla lettera l’accordo firmato, ma destabilizzano ogni giorno di più il Medio Oriente, dove hanno fornito a Hezbollah abbastanza armi da poter colpire violentemente Tel Aviv e dove cercano di emarginare l’Arabia Saudita e di crearsi basi permanenti in Siria.
Compromesso nucleare o meno, l’Iran non è diventato neutrale come la Svizzera. Ma cosa accadrebbe se Trump ritirasse la firma degli Stati Uniti dall’accordo?
L’interventismo iraniano non si ridurrebbe di certo. La Repubblica islamica avrebbe tutti i motivi di rilanciare il suo programma nucleare, e Trump si ritroverebbe davanti allo stesso dilemma toccato a Barack Obama: non fare niente o bombardare le strutture iraniane con il rischio di provocare un blocco dello stretto di Ormuz e di conseguenza quello dell’economia mondiale, se non addirittura atti di guerra contro le monarchie del Golfo e Israele.
Senza arrivare a tanto, la semplice critica nei confronti dell’accordo indebolirebbe sensibilmente i riformatori sul fronte interno iraniano e costringerebbe gli americani a ritornare a impegnarsi in Medio Oriente, cosa che Trump non vuole assolutamente fare, al pari di Obama.
Parlando razionalmente, Trump non dovrebbe minacciare l’accordo. Sarebbe una follia. Ma continuando a criticare l’Iran e il compromesso il presidente americano potrebbe ritrovarsi costretto a fare qualcosa di irrimediabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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