In Catalogna è il momento di ricostruire i ponti del dialogo
Niente è già scritto. Le centinaia di migliaia di persone che l’8 ottobre hanno manifestato in tutta la Spagna e anche a Barcellona contro la separazione della Catalogna possono ancora far riflettere e cambiare le cose, ma allo stato attuale il capo del governo catalano Carles Puigdemont si prepara a dichiarare, il 10 ottobre, l’indipendenza del suo paese.
Puigdemont dovrebbe farlo perché il 1 ottobre il sì ha ottenuto più del 90 per cento dei voti e perché la legge adottata dal parlamento regionale all’inizio di settembre prevede che una maggioranza di sì comporti automaticamente una dichiarazione d’indipendenza. Anche se questa legge è contraria alla costituzione spagnola e l’affluenza è stata appena del 43 per cento degli iscritti, Puigdemont è sostanzialmente obbligato a compiere questo passo, perché se non lo facesse tradirebbe il mandato che gli è stato affidato dalle forze indipendentiste che sono in maggioranza nel parlamento regionale.
Una specie di occupazione
A meno di colpi di scena, la sequenza dei prossimi avvenimenti è abbastanza chiara. Dato che la costituzione lo prevede, il capo del governo spagnolo Mariano Rajoy dovrebbe decidere di sospendere l’autonomia della Catalogna gestendo la regione direttamente da Madrid. Nessun catalano apprezzerà questo cambiamento, nemmeno quelli che sono ostili all’indipendenza. Per questo potrebbe crearsi una situazione molto simile a un’occupazione della Catalogna da parte della Spagna, che farebbe tornare alla memoria i ricordi della guerra civile e dell’epoca fascista.
La prova di forza in arrivo non risolverà niente, ma al contrario peggiorerà la situazione
Inevitabilmente si alimenterebbe un risentimento tanto più forte se consideriamo che l’economia soffrirà per queste tensioni interne ai catalani e tra i catalani e la Spagna. Anche se si evitasse la violenza, le prossime elezioni registrerebbero probabilmente un avanzamento degli indipendentisti o comunque dei sostenitori di una maggiore autonomia, la stessa che era stata rifiutata favorendo gli indipendentisti.
La prova di forza in arrivo, in altre parole, non risolverà niente, ma al contrario peggiorerà la situazione. È per questo che non si può continuare a criticare l’avventurismo degli indipendentisti o la cecità con cui i conservatori spagnoli hanno vietato l’affermazione nazionale catalana prima di bocciare un referendum legale che gli indipendentisti avrebbero probabilmente perso.
La lista degli errori è lunga, su entrambi i fronti, ma non è più il caso di utilizzare questi errori come munizioni. È arrivato il momento di ricostruire i ponti e aiutare spagnoli e catalani a uscire da questo meccanismo assurdo. Se non sarà l’Unione europea a farlo, potrebbero essere la Svizzera, la chiesa, la diplomazia vaticana o altre diplomazie. Resta il fatto che questo paese ha bisogno di aiuto e di una mediazione che possa dare tempo al tempo e trovare i compromessi necessari per fare in modo che nessuno perda la faccia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)