Charles de Gaulle parlava del ’68 francese definendolo “una mascherata”. Quello carnevalesco era forse un aspetto del movimento, ma allora cosa possiamo dire di quello che hanno vissuto gli Stati Uniti nello stesso anno?
Per gli americani il 1968 comincia, a fine gennaio, con l’offensiva del Tet lanciata dai comunisti vietnamiti, che riescono a penetrare nelle principali città del Vietnam del sud compresa la capitale Saigon, dove l’ambasciata americana rischia di essere invasa.
Per Lyndon Johnson, diventato presidente dopo l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963, è un colpo tremendo, perché è stato lui a portare davvero gli Stati Uniti in guerra. Per il movimento pacifista, invece, è una svolta. Fino ad allora limitato alle università, diventa una forza reale mentre la guerra è sempre più impopolare.
Allo slogan “fate l’amore, non fate la guerra!” e ai fiori offerti ai poliziotti che si preparano a caricare sui militanti si sostituisce una strategia per prendere il potere. Il movimento si mobilita a favore di Eugene McCarthy, senatore del Minnesota dal 1959 e candidato all’investitura democratica per le presidenziali di novembre.
Due Americhe
Per farsi accettare dagli elettori, i pacifisti si radono e si mettono la cravatta. Fatta eccezione per l’assenza di internet, la loro è una campagna innovatrice come lo sarà quella di Barack Obama del 2008. McCarthy guadagna un tale sostegno nel New Hampshire che Johnson decide di farsi da parte. Il movimento pacifista sembra arrivato alla soglia del potere. Poi però Robert Kennedy, fratello di John, viene assassinato il 5 giugno, due mesi dopo Martin Luther King.
Nel 1968 due Americhe si ritrovano faccia a faccia: quella dell’uguaglianza razziale, della rivoluzione sessuale e del rifiuto della guerra e quella del puritanesimo, della guerra e della segregazione. È l’anno in cui l’America è talmente divisa e nervosa che a Chicago la convention democratica decide prudentemente di sbarrare la strada a Eugene McCarthy a beneficio di Hubert Humphrey, che viene poi battuto a novembre da Richard Nixon. La città viene travolta da grandi manifestazioni, represse con violenza. Tutt’altro che una mascherata.
L’eredità dei sixties americani è triplice. Innanzitutto è da quel decennio che è nata la rivoluzione sessuale che, attraverso il ’68 francese, internazionalizzerà la lotta per la parità dei sessi e per deghettizzare gli omosessuali. Sono sempre gli anni sessanta che garantiscono il dominio (durato fino agli ultimi anni) di una cultura di sinistra negli Stati Uniti, criticata dalla destra con l’espressione “politically correct”. Infine sono gli anni sessanta ad aver preoccupato e radicalizzato l’America conservatrice al punto tale che Donald Trump ha potuto facilmente cavalcare questo sentimento per conquistare la Casa Bianca.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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