In Sudafrica i Mondiali hanno soprattutto creato un meraviglioso stato d’animo. Il calcio è incredibile. Trentadue paesi hanno fuso i loro colori in quelli della Rainbow nation, e la festa è arrivata. Sui volti dei campioni abbiamo letto tutte le sfumature della gioia e della sofferenza.
Si parlerà ancora a lungo della vuvuzela, del Jabulani e di tutti quei semidei deludenti, incapaci di mandare una sola volta la palla in rete. Grazie a un piccolo pallone, il lato migliore e forse anche il più oscuro della follia umana è confluito per un mese in questo paese un tempo troppo ripiegato su se stesso.
Senza voler fare il guastafeste, è doveroso però parlare anche delle altre novità, molto più inquietanti, che abbiamo sentito alla radio tra le dichiarazioni trionfali di Sepp Blatter e Jacob Zuma. Novità che si riassumono in un’unica, terribile frase: la violenza xenofoba, ricominciata subito dopo il fischio finale.
Spaventati dalle minacce, sono migliaia gli stranieri che fuggono dal Sudafrica. In novantadue hanno scelto di rifugiarsi nei commissariati e da due giorni alcuni di loro cercano riparo nelle chiese. La società civile e le autorità fanno quello che possono e in molti hanno supplicato: “Basta con gli attacchi agli stranieri, spaventeranno i turisti e gli investitori, dopo i nostri magnifici Mondiali!”.
Fallire a così poca distanza dall’obiettivo è altrettanto irritante ma infinitamente più grave del calcio di rigore sbagliato di Asamoah Gyan, a tre secondi da una storica semifinale.
*Traduzione di Olga D’Amato.
Internazionale, numero 855, 16 luglio 2010*
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