Noto soprattutto per aver raccolto, nel libro Il volo. Le rivelazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos, le confessioni del capitano di corvetta della marina militare Adolfo Scilingo sull’atroce pratica dei voli della morte durante l’ultima dittatura militare (1976-1983) e per aver a lungo indagato sull’intreccio tra gerarchie ecclesiastiche e militari, Horacio Verbitsky è uno dei più importanti giornalisti d’inchiesta argentini. Oggi scrive regolarmente sul quotidiano Página 12, vicino al governo dell’attuale presidente Cristina Fernández de Kirchner, e dirige il Centro de estudios legales y sociales (Cels), un’organizzazione non governativa che dal 1979 lavora per la promozione dei diritti umani e il rafforzamento del sistema democratico in Argentina.

Come ha dichiarato lo stesso Verbitsky, “le accuse secondo le quali avrei collaborato con l’aeronautica durante la dittatura militare si ripetono con regolarità da più di venticinque anni, ogni volta che scrivo un libro o un articolo che infastidisce più del dovuto qualcuno che conta”. L’ultima di queste accuse risale al 17 maggio 2015. Il giornalista Gabriel Levinas, che sta lavorando a una biografia non autorizzata di Verbitsky in uscita ad agosto, e l’ingegnere Pedro Güiraldes, figlio di Juan José Güiraldes, ex presidente della compagnia di bandiera Aerolíneas argentinas e personalità importante nell’aeronautica morto nel 2003, sostengono con prove e documenti alla mano che Verbitsky abbia lavorato per la forza aerea e che abbia scritto alcuni discorsi dei comandanti in capo Orlando Ramón Agosti e Omar Domingo Rubens Graffigna, membri della prima e della seconda giunta militare.

Levinas e Güiraldes affermano anche che dopo il golpe del 24 marzo 1976 il giornalista, che in quegli anni militava nel gruppo guerrigliero dei Montoneros, si nascose per settimane nella tenuta Santa María, una casa di proprietà della famiglia Güiraldes a San Antonio de Areco, un centinaio di chilometri a nord di Buenos Aires. Proprio in questa tenuta il figlio Pedro ha ritrovato un manoscritto di 34 pagine di un discorso che il generale e comandante della forza aerea Agosti tenne nel 1979, quando passò l’incarico al brigadiere generale Omar Graffigna. Secondo Levinas e Güiraldes, un perito da loro consultato avrebbe stabilito con certezza che la calligrafia del manoscritto corrisponde a quella di Horacio Verbitsky (ma come ha fatto a stabilirlo se non era in possesso di un documento scritto da Verbitsky con cui confrontare il manoscritto?).

Verbitsky ha smentito tutte le accuse di Levinas in un articolo pubblicato su Página 12 senza negare l’amicizia personale con l’ex direttore di Aerolíneas argentinas Juan José Güiraldes, che tuttavia andò in pensione nel 1951, quindi 25 anni prima del golpe del 1976. L’autore di Il volo ha presentato una serie di appunti redatti di suo pugno all’inizio degli anni ottanta per dimostrare che la sua calligrafia non ha niente a che vedere con quella del manoscritto ritrovato nella tenuta Santa María e ha sottolineato un fatto che non ritiene casuale: l’accusa contro di lui è arrivata proprio dal gruppo editoriale Clarín, il più grande del paese e ostile al governo, che ha riportato la notizia sul sito del quotidiano El Clarín e ne ha discusso durante il programma radiofonico Lanata sin filtro su radio Mitre, sempre del gruppo.

Come spesso succede in Argentina, in questa storia si mescolano più piani, personali e politici, etici e deontologici, ma risulta difficile dipanare il filo e stabilire le vere intenzioni e l’esattezza dei fatti. Ho chiesto a Martín Caparrós, giornalista e columnist di Internazionale, cosa ne pensasse:

Negli ultimi tempi la storia degli anni settanta e di quello che ognuno ha fatto nel periodo più buio dell’Argentina è diventata un missile che diversi settori usano come possono. Il governo kirchnerista non perdona certi giornalisti o certe attrici che lavoravano in quegli anni, ma mantiene a capo dell’esercito un militare, César Milani, sotto processo per la scomparsa di alcune persone. Il caso più emblematico è quello del giornale Clarín, che fu un fermo sostenitore della dittatura del 1976 come tutti gli altri mezzi d’informazione argentini. Il suo passato non ha mai disturbato il governo dei Kirchner nei cinque anni in cui il giornale è stato il loro principale alleato (2003-2008), ma non appena hanno litigato la complicità del Clarín con la dittatura è diventata la principale argomentazione degli attacchi del governo contro il gruppo. Horacio Verbitsky, grande giornalista per quasi cinquant’anni e oggi mentore stimato del governo, è stato uno dei promotori di questo tipo di manovra: come per caso, ogni tanto ‘scopre’ storie poco chiare di quei tempi che riguardano persone che cominciano a disturbare il suo governo. È triste che ora anche lui cada sotto un attacco simile. Può darsi che, come in tanti altri casi, gli attacchi siano ingiustificati: probabilmente non lo sapremo mai. Nell’Argentina kirchnerista non è dato sapere quasi niente con certezza. Comunque sia la giustizia non potrebbe pronunciarsi perché, anche se Verbitsky avesse fatto quello di cui lo accusano, non ci sarebbe di mezzo nessun reato, solo la vergogna.

Un altro giornalista e scrittore argentino, Gabriel Pasquini, autore di vari libri e fondatore della rivista digitale El Puercoespín, prova a spiegare in che modo l’ultima accusa contro Verbitsky, secondo lui priva di fondamento, può essere inquadrata nella storia recente del paese.

Se ci si attiene ai semplici fatti, la notizia è priva d’interesse. L’accusatore Gabriel Levinas è un dichiarato del oppositore del governo che cerca di attaccare qualsiasi figura che abbia legami con l’esecutivo. Verbitsky, l’accusato, è stato un militante rivoluzionario negli anni settanta, oggi è considerato da alcuni il più importante giornalista vivente del paese, presidente della più prestigiosa organizzazione di difesa dei diritti umani e autore dell’indagine sul presunto ruolo di Jorge Bergoglio nei crimini commessi dalla giunta militare che governò dal 1976 al 1983. Nonostante la sua simpatia per il governo di Cristina Fernández, è uno dei pochi personaggi pubblici rispettati e rispettabili che ci siano ancora in Argentina. Inoltre Levinas non fa altro che ripetere un’accusa già formulata e smentita vent’anni fa: che Verbitsky, guerrigliero perseguitato dai militari, sopravvisse nell’Argentina della dittatura grazie alla protezione di un noto ufficiale in pensione, Juan José Güiraldes, e che pagò questa protezione collaborando con la forza aerea. Ho conosciuto e intervistato Güiraldes: si vantava in privato e in pubblico di aver protetto Verbitsky, ma negò sempre che avesse prestato qualche servizio per l’aeronautica. Quindi perché interessa tanto quest’ultima accusa contro di lui? L’Argentina si trascina dietro la colpa della propria indifferenza o condiscendenza, per convinzione o paura, verso i massacri commessi dalla dittatura. I processi contro i militari avviati durante i governi Kirchner hanno tolto solo il primo strato di un periodo denso che il paese non ha ancora digerito. In quegli anni militanti come Verbitsky si salvavano andando in esilio, collaborando con i militari e grazie alla protezione personale di qualcuno. Esplorare la profonda ambiguità morale di queste ultime due opzioni meriterebbe un Primo Levi. Avere al suo posto un Levinas è il sintomo della decadenza dell’Argentina e della sua incredibile capacità di autodistruzione.

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