Anche se con uno stretto margine, il 30 ottobre il candidato del Partito dei lavoratori (Pt, sinistra) Luiz Inácio Lula da Silva ha vinto il ballottaggio ed è stato eletto presidente del Brasile con il 50,9 per cento dei voti. Il presidente uscente di estrema destra, Jair Bolsonaro, ha ottenuto il 49,1 delle preferenze. L’astensione è rimasta alta, 20,5 per cento, più o meno come al primo turno.
Lula, 77 anni, ha già governato il paese dal 2003 al 2010 facendo uscire più di trenta milioni di persone dalla povertà, anche grazie a un contesto internazionale favorevole e a programmi sociali di successo finanziati dal boom delle materie prime nei primi anni del duemila. Ma al tempo stesso durante i suoi due mandati e durante quello di Dilma Rousseff – che gli è succeduta nel 2011 – si è attirato molti nemici e le critiche di una parte dei brasiliani in seguito ad alcune accuse di corruzione (in realtà molto fragili) nell’ambito dell’inchiesta lava jato (autolavaggio), condotta dal giudice Sérgio Moro. Nel 2018 Lula è stato condannato a dodici anni di prigione e non ha potuto presentarsi alle presidenziali che si sono svolte in autunno e sono state vinte da Bolsonaro. Poi a marzo 2021, con una decisione inattesa, un giudice della corte suprema ha annullato le condanne per corruzione contro Lula permettendogli così di tornare sulla scena politica.
L’eredità lasciata da Bolsonaro
Oggi Lula non è più quello di un tempo: è invecchiato e non ha né l’energia né le idee del passato. La sua candidatura inoltre ha reso evidente che negli ultimi vent’anni il Partito dei lavoratori non ha saputo rinnovarsi e non ha favorito un cambiamento generazione. Ma è innegabile che Lula era anche la scommessa più sicura per sconfiggere Bolsonaro e per guidare il Brasile dopo il peggiore governo dalla fine della dittatura militare e il ritorno alla democrazia nel 1985. In soli quattro anni Bolsonaro ha indebolito le istituzioni democratiche, ha attaccato senza pudore la corte suprema e il tribunale superiore elettorale, ha creato una macchina per diffondere notizie false, ha gestito in maniera criminale la pandemia di covid-19, paragonandola a “un’influenzetta” e negando l’efficacia dei vaccini e delle misure di restrizione per prevenire la circolazione del virus. La pandemia ha provocato più di 680mila vittime in Brasile, il quinto paese con più morti per covid del mondo secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Poi ci sono state le misure che hanno allentato le regole per il possesso delle armi e la sconsiderata politica condotta in Amazzonia. Bolsonaro ha adottato una serie di misure per incentivare le concessioni minerarie e l’attività di estrazione nei territori indigeni e ha ridotto la vigilanza ambientale in tutto il paese tagliando i fondi e riducendo i compiti delle istituzioni statali che se ne occupavano. Durante il suo mandato la deforestazione e gli incendi sono cresciuti così tanto che, secondo molti scienziati, la foresta sta raggiungendo il punto di non ritorno, quello cioè in cui comincia a emettere più carbonio di quanto ne possa assorbire, entrando così in un processo di desertificazione.
Il suo disprezzo per la democrazia si è spinto fino al punto di non intervenire neanche il giorno del ballottaggio, quando nella regione del Nordeste la polizia stradale federale ha fermato più di seicento autobus carichi di persone che stavano andando a votare. L’operazione ha violato le indicazioni del presidente del tribunale supremo elettorale, Alexandre de Moraes, che aveva espressamente proibito le azioni della polizia stradale sui mezzi pubblici messi a disposizione per il voto. Nella regione, che è il feudo elettorale della sinistra e di Lula, vive il 27 per cento degli elettori brasiliani e al primo turno il 67 per cento aveva votato per il leader del Pt.
I prossimi passi
Quello che attende Lula dal 1 gennaio 2023, quando s’insedierà nel palazzo del Planalto, è un compito difficile e delicato. Da una parte infatti deve recuperare i valori che si sono persi in questi ultimi quattro anni, ricostruendo un paese profondamente diviso dove le idee di Bolsonaro sono ancora radicate e hanno fatto presa in un settore ampio della società. Dall’altra deve affrontare una grave crisi economica e sociale interna, con trenta milioni di cittadini che soffrono la fame o vivono una situazione d’insicurezza alimentare e di povertà estrema.
Nel discorso pronunciato a São Paulo subito dopo la vittoria, il presidente eletto lo ha detto senza giri di parole: “Abbiamo il dovere di garantire che ogni brasiliano possa fare colazione, pranzare e cenare ogni giorno. Questo sarà ancora una volta l’impegno numero uno del mio governo”. Ha anche aggiunto che governerà per tutti i 215 milioni di brasiliani, non solo per quelli che l’hanno votato: “Non ci sono due paesi. Siamo un Brasile solo, uno stato, una grande nazione”.
Potrebbe sembrare un invito doveroso alla conciliazione e all’unità nazionale da parte di un presidente che è appena stato eletto, ma è particolarmente importante in un momento in cui la democrazia brasiliana mostra chiari segni di fragilità.
Tuttavia per il suo ambizioso obiettivo Lula non sarà aiutato né dal contesto internazionale né da quello interno, visto che il gruppo di Bolsonaro è molto forte in parlamento e un suo candidato, il militare Tarcísio de Freitas, è stato eletto governatore di São Paulo, lo stato più ricco e popoloso del paese e probabilmente guiderà l’opposizione al governo.
Come sottolinea il País nell’editoriale, è fondamentale che Lula cerchi un dialogo con tutte le forze democratiche del paese e anche con la destra più moderata. Solo in questo modo potrà sperare di isolare Bolsonaro e le sue politiche e, al tempo stesso, garantire stabilità all’esecutivo. “È ora che il Brasile chiuda la tappa tossica del governo Bolsonaro e, guidato da Lula, si incammini sulla strada della convivenza”. I proclami fatti in campagna elettorale sono alle spalle, ora cominciano le responsabilità di governo.
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